Del leggendario Weegee, lo scattino di nera morto 45 anni fa, si conosceva finora la figura tarchiata di Joe Pesci nel film Occhio indiscreto del 1992. Al fotoreporter infatti s’ispirava la pellicola, attraverso il bravo attore italo-americano riconoscibile nel ruolo per il sigaro ficcato in bocca e l’inseparabile Speed Graphic. La fondazione Palazzo Magnani di Reggio Emilia, nell’ambito dell’8/a edizione di Fotografia europea, riprende il personaggio con la mostra Weegee. Murder is my business (L’omicidio è il mio lavoro), curata da Brian Wallis del Centro internazionale di fotografia di New York. Da oggi al 14 luglio, la rassegna della città emiliana è un’occasione per volgere lo sguardo sul sociale della metropoli newyorkese, anni ’30-’40, infestata da gang criminali che non facevano passare notte senza sparatorie e omicidi. Una certa fotografia di quello spaccato ha rappresentato il pane quotidiano per fotoreporter d’assalto che, vivacchiando negli avamposti metropolitani, si trovavano pronti a scattare sulla scena del morto ammazzato di turno. Weegee era il primo a precipitarsi, anticipando la stessa polizia, e i lampi abbacinanti del flash congelavano il sangue ancora sgorgante da quei corpi. La foto, così autentica da sembrare costruita, la mattina dopo s’imponeva sulle colonne delle prime pagine dei tabloid popolari. Almeno una dozzina di anni a rischio (dal 1935 al 1947) con circa 5000 omicidi, registrati personalmente, lo legittimavano ad autodefinirsi il fotografo ufficiale della feconda industria americana del crimine.
Con Arthur H. Fellig, meglio noto come Weegee nasce il fotogiornalismo da tabloid d’anteguerra che fa in tempo a documentare, negli Usa, la Depressione e il Proibizionismo. Il primo Weegee, assolutamente a proprio agio nella New York con cappotti lunghi e cappelli a falda larga tramandataci da certa cinematografia in bianco e nero, è un fotoreporter freelance con l’intuito per la notizia giornalistica. Le tirature dei quotidiani aumentano in modo vertiginoso per quelle immagini crude e dai forti contrasti prodotte dal flash e, come per ogni scoop, le foto vanno distribuite velocemente alle redazioni e alle agenzie. Weegee si attrezza e via via si affina a cominciare dall’automobile, provvista delle tecnologie dell’epoca, con cui va in giro per strade abbrutite dalla violenza urbana: sintonizza la trasmittente sulle frequenze-radio della polizia e nel bagagliaio della Chevrolet allestisce un’itinerante camera oscura completa di sviluppo e stampa. Ne viene fuori il ritratto dilatato, unico e mai visto fino ad allora, di una New York spietata dove la foto di un cadavere non vale più di tre dollari nella cronaca di nera di un quotidiano; il contesto fisico urbano, in costante evoluzione, muta rapidamente a causa di incendi che divampano, specie nei quartieri popolari. Si ritrova a lavorare gomito a gomito con le forze di polizia e coi pompieri, senza però disdegnare la frequentazione ora col sottobosco malavitoso, ora con la mafia italo-americana rappresentata da boss di spicco come Lucky Luciano.

Nell’esercizio del fotoreporter, Weegee ha un’alta considerazione di sé. Non è incolto, a differenza di altri fotografi che bazzicano la strada e i quartieri malfamati; è consapevole di costruire una reputazione professionale attraverso un tipo di fotografia che presenta punti di vista originali; è orgoglioso di aver venduto a Life, anche se a poco prezzo, alcuni suoi scatti. Intende offrire dignità al lavoro «sporco» che consuma ogni notte.

Nel 1941 le foto pubblicate sui tabloid vengono raccolte in due mostre presso la sede della Photo league, l’associazione che promuove le fotografie d’impegno sociale e politico. Il titolo di Murder is my business è lo stesso con cui viene intitolata la sua prima mostra oltre 70 anni fa a New York. In piena guerra, il Museo d’arte moderna di New York gli compra alcuni lavori e ne include altri in due rassegne collettive allestite negli stessi spazi museali. Nel 1946 pubblica il tanto agognato libro foto-autobiografico e documentaristico Naked city, la città nuda, spoglia. È la New York delle sue immagini, per nulla inferiori tecnicamente ad altri scatti documentaristici sulla metropoli realizzati da celebri fotografi.

Nelle sale di Palazzo Magnani sono riprodotti sia gli interni della Photo league in cui vennero esposte le foto per il pubblico newyorkese dell’epoca, sia lo studio fotografico di Weegee con appese, a rotazione, le pagine di giornali dove appaiono suoi scatti. Fanno parte della mostra più di cento originali dell’archivio-Weegee conservati presso il Centro di fotografia di New York e costituito da 20mila stampe; vi sono pure gli originali di quotidiani, riviste e pellicole degli anni ’40 dedicate a Weegee.