L’inizio, ed è il secondo anno consecutivo, a differenza di altri festival, quello di Cannes in testa, propone un grande film: la scorsa edizione è stato il magnifico Gravity, questa volta Birdman (o le imprevedibili virtù dell’ignoranza), attesissimo nuovo lavoro di Alejandro G. Iñárritu a cui Venezia 71, direttore Alberto Barbera, ha affidato la serata di inaugurazione che ha visto arrivare sul Lido anche il presidente Napolitano.

Di cosa parliamo quando parliamo d’amore? si chiede Raymond Carver, e di cosa parliamo quando parliamo di cinema forse ha pensato Riggan Thompson, stralunato Michael Keaton, quando ha deciso di portare in scena il testo dello scrittore a cui, nella sua personale mitologia deve tutto, è stato infatti un suo apprezzamento, quando era solo un ragazzo a farlo continuare.

Thompson è una star planetaria, protagonista di blockbuster hollyowwodiani catastrofici e milionari, in particolare la serie Birdman, l’uomo uccello con superpoteri a cui ha legato indissolubilmente il suo nome. Anzi di più, dalla cui tuta in nylon sembra essere stato risucchiato. Lui però vorrebbe essere apprezzato per le sue doti, vuole essere qualcos’altro, un attore e non la celebrities da cui la gente corre per farsi la foto ricordo ma che i critici intellettuali considerano come un prodotto da spazzatura. Così da Los Angeles vola a New York, a Broadway, e si spoglia della maschera del superuccello per essere «se stesso», semplicemente un attore.

Egocentrico, narcisista, debolezza per l’alcol, un coacervo di nevrosi con figlia – Emma Stone – appena uscita dalla rehab, che gli spiega come oggi si vinca coi social network, mentre lui ostinato li rifiuta. E però la sua camminata in mutande per le strade di New York conquista ottantamila followers su Twitter in un attimo, mentre quanti andranno vedere quella pièce che gli e costata la bancarotta?

La società dello spettacolo si mischia al ritratto d’attore: sono patetica, piange Naomi Watts dopo una scena col nuovo protagonista, l’amico cinico attore teatrale vezzeggiatissimo dai critici, a cui dà vita Edward Norton. No, sei solo un’attrice risponde l’altro. Perciò tradimenti, colpi bassi, capricci, fragilità. Che sbattono contro marketing, soldi, giornalisti che citano Barthes, e altri che pensano sia il protagonista di una nuova serie, temutissime e potenti critiche del New York Times dalla cui penna dipende il tuo destino. Eppure Birdman non è Hollywood contro New York, celebrities contro attori, commerciale contro autoriale in quell’opposizione alto/basso culturale così riduttiva che oggi, in era di un neoconservatorismo del pensiero diffuso, sembra tornata a formattare il giudizio.

Almeno quando si tratta di decidere cosa è popolare e cosa no, cosa è giusto per il pubblico e cosa no… Anche se questo c’è, ovviamente, e anzi il regista messicano si diverte a giocare con i «luoghi» dello spettacolo americano, il mercato attuale delle grosse produzioni o i prodotti snob della scena teatrale – l’uno e l’altro illuminati con ironia molto divertente, tra i giovani attori come Fassbender tutti impegnati in serie alla Avengers, e la critica teatrale che si limita alle etichette. E con gli specchi in cui riflette gli attori, a cominciare da Keaton, per anni Batman, fino alla Mulholland Drive lynchana di Naomi Watts, o a Emma Stone, fidanzata di Spider Man, intorno ai quali costruisce una precisa trama di rimandi, anche se forse dei suoi film questo è il meno barocco, nella continua oscillazione tra realtà e fantastico.

E proprio i tocchi surreali, quella voce che Thompson sente, la sua vocetta interiore, la voce di Birdman, che glielo ripete di lasciar perdere di tornare alla «buona vecchia pornografia apocalittica di sangue e adrenalina», coi superpoteri che gli sono rimasti, volare sulla città, tra i grattacieli, come un uccello, ci portano al cuore commuovente e profondo di questo «ritratto d’attore», che è quello carveriano, la stessa implorazione che il personaggio del dramma grida al mondo sul palcoscenico, volevo solo essere amato.

Ecco, Birdman è Carver – che non dimentica l’Altman di America oggi – dentro e fuori la scena, proprio come dentro e fuori lo schermo si muove Iñárritu, nelle sue immagini che ci mostrano tutto senza interruzioni – grazie a un lavoro di preparazione accuratissimo – come se stesse accadendo in quel momento, «vero» perché meticolosamente messo in scena. Su questo bordo scorrono la malinconia e la dolcezza della vita, l’eterna domanda del nostro stare al mondo, che attraversa i film del regista, quell’impossibile desiderio di essere qualcos’altro, e la necessità di fare finta di nulla, può essere distrazione o spregiudicatezza.
Birdman è un magnifico film sul sentimento del nostro contemporaneo, che solo la potenza dell’immaginario può catturare.