Con una singolare miscela di samba e punk, candomblé e free jazz hanno sparigliato la pur vivace scena della tentacolare São Paulo in Brasile, attaccando e staccando la spina ai loro strumenti, sperimentando e spingendo un suono diagonale e dispari in direzioni inusuali e mai scontate. Di diversa provenienza estetica, geografica e anche anagrafica, la carioca Juçara Marçal alla voce, il chitarrista Kiko Dinucci da Guarulhos, sobborgo di São Paulo, e il mineiro Thiago França ai sax e al flauto, sono stati protagonisti in questi mesi di una lunga e serratissima tournée europea, complici di studio e di palco, il batterista Sergio Machado e Marcelo Cabral al basso. Durante quella che è stata più una chiacchierata che un’intervista, c’è stato spazio per gli dei del candomblé come per il delicato momento politico che attraversa il Brasile, siamo partiti comunque dai fondamentali: il significato del nome del gruppo. Kiko: «Nel candomblé, la religione afrobrasiliana di cui siamo parte, si usa quest’espressione per un orixà, Logunedé, che dicono sia Metà Metà. La maggior parte delle persone lo interpreta come la «metà» della lingua italiana, essendo metà uomo e metà donna, ma in Nigeria Metà Metà è tre in uno: la parte femminile della madre, la parte maschile del padre e la parte maschile di sé stesso. Quando abbiamo cominciato a suonare, vedendo che dalla combinazione di noi tre veniva fuori un risultato originale, mi sono ricordato di Logunedé».

Kiko, tu hai girato nel 2006 un film-documentario su un altro orixà, Exù, «Dança das Cabeças, Exù no Brasil» e hai appena composto insieme a Edgar un brano per il nuovo disco di Elza Soares, «Deus è Mulher», che si chiama «Exù nas Escolas». Chi è Exù, e perché portarlo nelle scuole?

È un dio molto bistrattato, fin dai tempi della colonizzazione di Africa e Brasile. I missionari che arrivarono in Africa all’inizio del XIX secolo, trovarono Exù adorato sotto forma di pene, e subito lo associarono al diavolo. Per di più, Exù è una figura trasgressiva, provocatrice, che sfida gli altri dei, crea confusione ed incidenti, il dio del movimento, di quel movimento improvviso che permette alle cose di continuare a girare; un’ulteriore causa di demonizzazione da parte della Chiesa. Quando i nigeriani ridotti in schiavitù sono costretti in Brasile a convertirsi al cattolicesimo, non sanno cosa fare di Exù, né lo sa la Chiesa. Per proteggere la propria religione, gli africani si servono del sincretismo che fa di Ogun San Giorgio e di Iansã Santa Barbara, ma gli orixà non sono santi, fanno sesso con partner diversi, guerreggiano e uccidono, soffrono di gelosia, di invidia, hanno sete e fame, sono molto vicini agli esseri umani. Così, nel processo di santificazione degli orixà, tutta la parte umana, il «peccato», viene trasferita su Exù, che, già demonizzato in Africa, lo è doppiamente in Brasile, tanto che oggi il 99,9% della popolazione brasiliana lo usa come sinonimo di diavolo. Ma i brasiliani gli assomigliano molto, con il loro modo malandrino di mostrarsi navigati, di avvantaggiarsi delle situazioni, sono i trickster, gli imbroglioni, gli ambivalenti. Portarlo nelle scuole può aiutarci a vedere come siamo, a valorizzarci specchiandoci nell’immagine di un dio. Poi ci sono le leggi promosse dai parlamentari del Fronte evangelico (gruppo parlamentare trasversale che si caratterizza per l’azione politica reazionaria e oscurantista, ndr), come la «Escola sem partido» che proibisce agli insegnanti di parlare di politica, anche sotto un profilo storico, e istituisce la repressione sistematica di qualsiasi forma di protesta, o quella, già approvata in prima istanza e al vaglio dei passaggi successivi, che sancisce che nelle scuole l’insegnamento religioso sia esclusivamente cristiano. Niente Buddha, Allah, Exù, nessuno.

Il candomblé è uno degli elementi della vostra musica

Juçara: «Il candomblé sta nella nostra musica non come un tema, la ricerca su un ritmo o la scrittura di un testo: è parte della nostra vita. Entra con le forme, la cadenza, le parole legate all’orixà che stiamo cantando.»
Thiago: «L’influenza è in tutto, non è una scelta letterale, prendere la battuta di Exù e riprodurla; lasciamo piuttosto che appaia in alcuni momenti, nelle frasi ritmiche, nei testi, nel modo di suonare. Nell’improvvisazione in un brano su Xangò, non è usare questa nota o eseguire quella scala, ma chiedersi che figura sia: un personaggio austero e coraggioso, che sputa fuoco, la giustizia implacabile, come si trasforma in suono? Non è prendere una chitarrina e cantare oh Xangò, Xangò, Xangò…

Nel vostro sound c’è anche molto altro, dal punk al free jazz

Thiago: «Trovo interessante che la stessa forza, la stessa esplosione che riconosco nel punk,la trovo nel free jazz. Quando ci mettiamo a fare qualcosa, non pensiamo di fare una musica pesa, con ritmo serrato, è una cosa che ognuno di noi porta da posti differenti.
Una sonorità allo stesso tempo locale e globale costruita sulle contraddizioni
Kiko: «È il mondo nel quale crediamo, fatto di persone dissimili che si scambiano qualcosa. Facendo una sintesi, Metà Metà è un incontro fra persone diverse che entrano in confluenza in un punto nel quale risiede l’originalità. Il Brasile è così, una mistura originale di elementi distinti, portoghese, africano, indio. C’è una cerimonia nell’interno del Brasile, la Congada, che in origine rappresentava la vittoria dei cristiani sui mori, ma il re e la regina sono africani: il sincretismo necessario alla sopravvivenza della cultura africana, che è sempre stata, ed è ancora, perseguitata. Da pochi giorni un famoso cantante di musica sertaneja (genere musicale di enorme successo commerciale di estrazione europea, ndr) ha detto in tv che il samba è musica di banditi. Ancora oggi il samba è oppresso, come il funk carioca e tutte le musiche dei poveri.

C’è un ruolo per l’arte, per la musica in questo momento in Brasile?

Kiko: «In piena crisi politica stiamo vivendo un momento ricchissimo dal punto di vista musicale, da dieci anni la musica è in costante miglioramento. Sarà perché nei momenti di crisi, di guerra, abbiamo bisogno di gridare. Il disco di Juçara, Encarnado, è un grido che nel 2013 anticipa quello che sarebbe successo, e il nostro MM3 è un grido in pieno golpe. Nell’epoca di Lula vivevamo un progresso, un reale avanzamento economico delle fasce più povere, un progetto di Paese evidente anche all’estero, e repentinamente il golpe ha bloccato tutto

Politicamente cosa sta succedendo?

Juçara: «In due anni si sta vanificando tutto quello che è stato costruito nei venti anni precedenti: è la perdita di tutti i diritti conquistati con grande fatica».

Cosa credete di potere, o di volere fare, in questo scenario?

Thiago: «Noi continuiamo facendo musica. Se ispiri qualcuno a scendere in strada a protestare, non lo sappiamo. Però in qualche maniera la produzione artistica finisce per essere una storia non ufficiale: se fra 50 anni sui libri di storia ci sarà scritto che la rivoluzione del 2016 ha sottratto il potere ai ladri e ai corrotti, le persone ascoltando la musica capiranno che in quel racconto qualcosa è sbagliato. Io ho studiato in un collegio cattolico molto conservatore, lì la dittatura militare non è mai stata descritta negativamente, ma solo come qualcosa che è successo, eppure guardando la situazione artistica di quel periodo capisci subito che non è andata così. La produzione artistica ha questo potere, e questo dovere».
Kiko: «Il golpe, questo momento orribile che stiamo vivendo, non è qualcosa che emerge dalle tenebre e improvvisamente attacca il Brasile: il fascismo, il conservatorismo erano già lì, in ognuno di noi, sono la nostra storia coloniale e schiavista che non è mai stata superata. Quando fu abrogata la schiavitù, i neri furono buttati in strada a sopravvivere come potevano, sono ancora lì da allora, e questo Brasile colonia e schiavista, che riproduce le stesse immagini, ne è il prodotto: i poliziotti che attaccano i giovani neri sono i cacciatori degli schiavi fuggitivi agli ordini dei fazendeiros, neri che catturavano altri neri, le domestiche in uniforme bianca che badano ai bambini al seguito della padrona che fa shopping o va in spiaggia… L’altro seme del fascismo di oggi è il ventennio di dittatura militare, dal quale siamo usciti con una democrazia fragile che non ha curato i propri fantasmi: nessun torturatore è stato punito, nessuno dei militari al comando condannato. Tutti elementi che hanno attaccato una democrazia tanto fragile che non è riuscita a resistere».