Lampade, vecchi televisori con il tubo catodico, alimentatori elettrici. Una radiosveglia, un modem a 56k, un ventilatore. È difficile immaginare che si tratti del set di un concerto. Ma è esattamente questa la strumentazione che L’Impero della Luce usa per creare la sua musica. «L’elettricità produce un suono, se sai ascoltarlo», spiega Eeviac, illustratore, autore di visual per band come Satan is my brother, Captain Mantell, L’Arsenale Ensemble, Be Invisible Now, creatore di immagini per i dischi di etichette come Go Down Records e Trovarobato. Ora parte di un duo insieme a Johann Merrich, compositrice di musica sperimentale, fondatrice della label Electronic Girls e appassionata ricercatrice.

IL SUO ULTIMO libro, Breve storia della musica elettronica e delle sue protagoniste (edito da Arcana), è un’articolata indagine che racconta la nascita della musica elettroacustica e delle innovazioni introdotte in particolare dalle molte compositrici il cui contributo è stato fondamentale per questo genere musicale, ma non altrettanto riconosciuto. Ripercorrere a ritroso il cammino di quest’idea di musica, con metodo quasi archeologico, sembra essere anche la missione dell’Impero della Luce. È una ricerca che va alla radice, «perché noi interpretiamo come suono il fenomeno elettromagnetico, esploriamo ciò che si trova alla base della stessa musica elettronica. È il principio da cui nascono il telharmonium (l’antenato dell’organo elettrico,ndr) e i primi dispositivi che funzionavano con il controllo di voltaggio. Per noi conta anche la storia, ricordarci che ogni tecnologia ha un’origine ben precisa. Interrogarci sui temi della fisica è importante per noi come musicisti». Del resto William Duddel, l’ingegnere chiamato a risolvere il problema dell’inquinamento acustico prodotto dagli impianti dell’illuminazione pubblica nella Londra vittoriana, crea il singing arc modulando proprio il voltaggio e «quel rumore che lui governava, è lo stesso che noi andiamo a cercare amplificando, per esempio, una lampada a neon».
Allo stesso modo, «anche Nikola Tesla, colui che potremmo definire il padre del futuro, se n’era accorto: le variazioni di voltaggio sulle bobine possono produrre dei suoni e venire intonate. Ne ha scritto tra i suoi appunti, ma non ha sviluppato questo tipo di ricerche».
Il mare di Dirac, il primo album dell’Impero della Luce dedicato al fisico britannico Paul Dirac, è stato realizzato grazie alla sovrapposizione di materiali sonori, spesso ottenuti da field recording. Il mixaggio è opera di Johann Merrich e fa parte in modo organico della composizione. Il master è di Giulio Ragno Favero (Teatro degli Orrori, One Dimensional Man), mentre tra i collaboratori del duo c’è Tommaso Mantelli, che fin dall’inizio ha aiutato a rendere concreto il progetto. Il disco è ispirato anche al lavoro di artiste come Christina Kubisch, l’ideatrice delle electrical walks, passeggiate in cui con apposite cuffie si può interagire con i suoni della città, e della compositrice serba Jasna Velickovic, che ha inventato il velikon, strumento in grado di amplificare il suono prodotto da magneti (nel disco ne è stato utilizzato uno). Parte delle registrazioni proviene dagli spazi della Fondazione Bonotto, la fabbrica lenta di Molvena che in mezzo ai macchinari per la tessitura ospita una delle più importanti collezioni private di artisti del movimento Fluxus e della Poesia Concreta.

UN LUOGO nascosto tra le colline del vicentino, in cui era di casa Yoko Ono, grazie all’amicizia con il mecenate moderno Luigi Bonotto. Il terzo brano del disco, intitolato Calcite, Onyx, Hawaii, Tabacco (380V), si muove e incorpora alcune tra le opere di Nam June Paik, William Xerra, Joe Jones e Philip Corner, presenti nella collezione. D’altro canto le ricerche radicali del compositore John Cage, uno dei principali esponenti di Fluxus, in grado di rivoluzionare totalmente il concetto di performance e di introdurre l’aleatorietà nella composizione, sono un riferimento fondamentale per la band.

«IL NOSTRO LAVORO è in gran parte ispirato alla poetica di Fluxus e all’apporto di John Cage» spiega Johann Merrich, «alla sua riflessione su cos’è il suono e cos’è la musica. Secondo lui serve prestare attenzione a tutto quello che ci circonda a livello sonoro: tutto è suono e vale la pena di essere ascoltato. Tutti i suoni sono belli. E tutto il materiale può essere trasformato dalla nostra intenzionalità in un’opera d’arte sonora». È da questa visione che deriva la spinta a utilizzare oggetti inusuali, appartenenti a una quotidianità passata, «perché pensiamo che queste siano vie molto più stimolanti per creare musica. I nostri strumenti sono oggetti di riciclo, perché per noi anche la tematica ambientale è un fattore importantissimo».