Il manifesto l’ho scoperto da ragazzo. Era sul tavolo della cucina del mio maestro di pianoforte. Dove lo trovo ancora oggi. Sfogliandolo, scoprivo molte cose nuove, che a scuola e altrove non c’erano. Opinioni e culture diverse. Prime pagine non convenzionali. Sopra tutti questi stimoli, la cosa più preziosa: il non essere d’accordo, il poterlo esprimere, il fare i conti con la storia e con la necessità di essere moderni.

Forse oggi, di fronte al permanere di intollerabili disuguaglianze ed anacronistici pregiudizi, al divario di opportunità tra le nuove generazioni e quelle dei genitori, alla perdita di centralità dell’educazione civile e culturale, mi sembra ancora più urgente un luogo dove nuovi ragazzi possano trovare altre opinioni, altre culture.

Una via di fuga dal superfluo, un punto di vista che suscita discussione, un posto dove si cerca di comprendere oltreché raccontare la realtà, una voce non allineata, con cui non è importante essere d’accordo.

E’ invece molto più importante che, esattamente come accade alle musiche davvero originali, il suono del manifesto continui ad essere riconoscibile, la voce di tutti i dialetti di una sola lingua: quella della tolleranza e della consuetudine con le differenze. In definitiva, della modernità.