La riduzione dei combustibili fossili è un passaggio obbligato, ma non è sufficiente per mantenere tra 1,5 e 2 °C l’aumento della temperatura media del pianeta entro il 2100, come prevede l’accordo di Parigi del 2015. Nel dibattito sui cambiamenti climatici e sulle misure necessarie per contrastare il riscaldamento del pianeta, viene spesso trascurato il suolo. Eppure, questo ecosistema rappresenta il più importante serbatoio di carbonio e può giocare un ruolo decisivo nel controllo dei gas serra. Si stima che nei primi 30 centimetri di suolo del pianeta siano immagazzinati 680 miliardi di tonnellate di carbonio, il doppio della quantità presente nell’atmosfera e superiore anche a quello contenuto nella vegetazione terrestre.

IL SUOLO E’ L’ECOSISTEMA che negli ultimi decenni ha subito le maggiori modificazioni. Sono necessari fino a mille anni per formare un centimetro di suolo con la sua componente organica, ma bastano pochi anni di pratiche scorrette per alterarne le funzioni. La Fao calcola che un terzo dei terreni del pianeta è degradato per la perdita di materia organica, con gravi conseguenze sulla fertilità e sugli scambi gassosi con l’atmosfera. Si è determinata una condizione in cui i suoli cedono più carbonio di quanto riescono ad assorbirne. Una perdita dello 0,1% di carbonio da parte dei suoli europei equivale alle emissioni di un anno dei veicoli circolanti in Europa.

IL RUOLO CHE IL SUOLO SVOLGE nel sistema climatico emerge dalla Carta mondiale dei suoli, elaborata dalla Fao, come risultato di una ricerca che ha coinvolto 110 paesi. Si è dimostrato che la gestione del suolo può rallentare o accelerare i cambiamenti climatici, in relazione alla sua capacità di assorbire o rilasciare gas serra. Un terreno che non ha un manto vegetale è esposto a fenomeni di erosione e rilascia grandi quantità di carbonio. Se un prato o un pascolo vengono riconvertiti in una monocoltura, dopo 20 anni il contenuto di carbonio organico presente nel suolo si riduce del 50%. Dalla «contabilità del carbonio» risulta che il 60% di questo elemento si trova nei suoli di 10 paesi: Usa, Canada, Brasile, Argentina, Cina, Russia, Indonesia, Australia, Congo, Kazakhistan. Si calcola che, attualmente, solo il 55% del carbonio emesso ogni anno viene assorbito dai sistemi naturali (suoli, oceani, vegetazione), mentre il rimanente 45% finisce nell’atmosfera e va ad aggiungersi all’anidride carbonica già presente. Sono i suoli ricoperti da foreste a immagazzinare la maggiore quantità di carbonio ed è la deforestazione una delle cause principali del rilascio e accumulo di anidride carbonica.

TUTTI I PROGETTI TERRITORIALI di contrasto al cambiamento climatico passano attraverso la salvaguardia di boschi e foreste. Per contenere l’aumento di temperatura entro i valori stabiliti nell’accordo di Parigi bisognerebbe eliminare ogni anno dall’atmosfera 20 miliardi di tonnellate di anidride carbonica. Tutte le ricerche mostrano che solo aumentando il contenuto di carbonio nel suolo, sottraendolo all’atmosfera, è possibile raggiungere questo obiettivo.

IN QUESTI ULTIMI ANNI SONO MOLTI gli studiosi che si sono posti il problema di come sottrarre all’atmosfera l’anidride carbonica in eccesso per fermare i cambiamenti climatici. La conclusione è stata sempre la stessa: solo i terreni ad alto contenuto di sostanza organica possono svolgere questo ruolo. In vaste aree del pianeta si manifestano fenomeni di desertificazione che hanno come conseguenza la perdita di materia organica e il rilascio di carbonio. Sono 13 i paesi dell’Europa in cui il fenomeno è più accentuato, ma, come ha sottolineato la Corte dei conti, i provvedimenti adottati per contrastarlo mancano di coerenza ed efficacia.

SECONDO LA FAO, SE SI ATTUASSE un’opera di ripristino dei suoli degradati del pianeta, si potrebbero catturare circa 60 miliardi di tonnellate di carbonio all’anno. Il cambio d’uso del territorio è alla base dell’aumento dei gas serra, perché vengono riportate nell’atmosfera, sotto forma di anidride carbonica e metano, le sostanze che in milioni di anni erano state sottratte e immagazzinate nel suolo. Le torbiere sono un esempio di quali effetti si possono produrre quando si altera un fragile ecosistema. Associate alle zone umide, sono state sempre considerate ambienti improduttivi e sottoposte a drenaggio dell’acqua o interrate per impiantare coltivazioni.

OGGI SAPPIAMO CHE SONO importanti non solo da un punto di vista naturalistico per la biodiversità che contengono, ma rappresentano il più efficace sistema di deposito a lungo termine del carbonio. Le torbiere rappresentano il 3% delle terre emerse, ma immagazzinano il 30% di tutto il carbonio presente nei suoli del pianeta. Le troviamo nelle regioni fredde e umide (nord Europa, Siberia, Canada, Alaska), ma anche in alcune zone della fascia equatoriale (Indonesia, Congo). Le torbiere sono inserite in tutti i progetti che hanno l’obiettivo di controllare la produzione di gas serra, in quanto ogni intervento che modifica il loro equilibrio influenza la concentrazione di CO2 nell’atmosfera.

UN RECENTE STUDIO INGLESE CALCOLA che oltre la metà del carbonio immagazzinato nei suoli europei si trova nelle torbiere di Regno Unito, Irlanda, Svezia, Finlandia. La loro gestione sta generando un grave allarme a causa delle attività di prosciugamento, asportazione della torba per usi energetici, incendi. Le foreste torbiera del Sud-Est asiatico vengono prosciugate e incendiate per coltivare palme da olio. L’Indonesia è diventata, dopo Usa e Cina, il maggiore produttore di gas serra a causa degli incendi delle torbiere.

NEL BACINO CENTRALE DEL CONGO è stata individuata quella che potrebbe essere la più estesa torbiera tropicale del pianeta. La sua estensione è pari a 150 mila chilometri quadrati (la metà della superficie dell’Italia) e si stima che possa contenere 30 miliardi di tonnellate di carbonio. Sono numerosi gli appelli di scienziati e organismi internazionali per evitare qualunque intervento che possa alterarne l’equilibrio. Il suolo può, dunque, decidere le sorti della difficile partita climatica, attraverso la salvaguardia degli ambienti naturali e il ripristino delle aree degradate.