«In questi 21 anni, da quando con il dottor Gino abbiamo messo in funzione l’ospedale, il generatore non hai mai smesso di funzionare. Neanche per 20 minuti». Sguardo fiero e mani grandi, Sher Agha è il responsabile della manutenzione dell’ospedale di Emergency ad Anabah, nella valle del Panjshir.

Lo abbiamo incontrato lo scorso giugno, durante una ricerca – in via di pubblicazione – condotta nei tre ospedali di Emergency in Afghanistan (Anabah, Kabul e Lashkargah), collegati a una rete di 44 Posti di primo soccorso e Centri sanitari di base.

L’ospedale di Anabah è stato aperto nel 1999 per curare i feriti di guerra e le vittime delle mine antiuomo, eredità dell’occupazione sovietica. «Venivamo dall’esperienza dell’Iraq e contattammo “l’ambasciata» a Londra del comandante Masud», ci ha raccontato Gino Strada poche settimane fa. «Lo abbiamo raggiunto nel Panjshir dopo un lungo viaggio che passava per il Tagikistan. Gli abbiamo detto “vogliamo aprire un ospedale” e lui si è detto d’accordo». Era il 1999.

«Nel 1999 eravamo soltanto quattro donne. Io ero una rifugiata», ci racconta Marjah Karizada, 40 anni, memoria storica dell’organizzazione nel Panjshir. È una testimone e protagonista di quella «rivoluzione silenziosa» di cui parla un recente rapporto di Emergency dedicato all’ospedale di Anabah, che dal 2002 è dedicato prevalentemente alla chirurgia generale e traumatologica e dove nel 2003 è sorto anche un Centro di maternità.

«Con la mia famiglia venivamo da Parwan, scappavamo dalla guerra – continua Karizada – Ero senza casa, senza cibo, senza nulla. Ho fatto un colloquio con Kate Rowlands e poi ho conosciuto Gino Strada. Ed è cominciato tutto». Continua: «Ma tu il dottor Gino lo conosci, sì?».

Anche Sher Agha, mani forti e sguardo sicuro, lavora con Emergency dal 1999, nel Panjshir. Ci guida sul tetto del locale della manutenzione. Indica davanti a noi. Una vecchia jeep è adagiata su un piedistallo naturale. Più in là, le montagne che difendono la valle. «È l’unica jeep rimasta di quei primi anni. L’hanno fabbricata in Russia. Il motore funziona ancora. Ogni tanto la mettiamo in moto. Ma solo quando viene il dottor Gino!».

A Lashkargah, la città finita due giorni fa sotto il controllo dei Talebani, c’è un altro ospedale di Emergency. Dedicato a Tiziano Terzani, «giornalista e uomo di pace», è per i feriti di guerra. La provincia dell’Helmand è una delle più conflittuali del Paese. Lo è sempre stata in questi anni, ricorda Salim Khakhsar, responsabile della sicurezza dell’ospedale: «Vedi questi alberi? Li ha piantati un talebano, ai tempi dell’Emirato islamico, si chiamava Akhundzada. Anche il dottor Gino ha sempre voluto che venissero curati, così come il giardino. Ha sempre pensato che un ospedale dovesse essere bello, oltre a curare i feriti».

Khakhsar ricorda di essere stato a Milano e ci chiede: «Ma quando torna il dottor Gino?». A ricordare il primo giorno di lavoro – 7 aprile 2001 – è anche Leyla Abbasi, infermiera dell’ospedale Emergency di Kabul. «Sono stata la prima a superare l’esame con Gino Strada. Me lo ricordo come fosse oggi. Non parlavo inglese, solo francese, ma mi rassicurarono dicendo che contavano la competenza, l’impegno».

Per Leyla Abbasi «il dottor Gino è stato un maestro per tutti». Vale anche per Gul Mohammad Zaed, 50 anni circa, originario di Obdarak, nella valle del Panjshir e staff manager dell’ospedale di Anabah. «Emergency per noi è stata un’università. Siamo tutti un po’ studenti del dottor Gino. E un po’ anche suoi figli».

Per Pietro Parrino, direttore del dipartimento Field Operations, l’eredità di Strada sta nella convinzione che «l’unico modo di costruire un mondo di pace è perseguire la difesa dei diritti, indipendentemente dalle difficoltà». Quanto all’Afghanistan, le vicende degli ultimi giorni dimostrano che «la guerra non risolve i conflitti ma li perpetua, non servono soldati per portare la pace».

«Gino ha un carattere duro», racconta Akbar Jan, altra figura storica di Emergency in Afghanistan, oggi National Programme Coordinator. «L’unica volta che l’ho visto piangere è quando è andato la prima volta sulla tomba del comandante Masud».