Internazionale

Il Summit del Futuro dell’Onu non sa aggiustare il presente

I delegati riuniti ieri al Palazzo di Vetro per il Summit del Futuro foto Epa/Sarah YeneselI delegati riuniti ieri al Palazzo di Vetro per il Summit del Futuro – Epa/Sarah Yenesel

Contraddizioni globali Voluto dal segretario Guterres, nasce azzoppato da negoziati opachi e formule neoliberiste. Analisti divisi: una grande opera di distrazione o il rilancio in extremis dell’Agenda 2030?

Pubblicato 21 giorni faEdizione del 24 settembre 2024

Mentre le giornate della storia scorrono ostinatamente scandite da attacchi terroristici oltreconfine, bombardamenti indiscriminati su popolazioni inermi, pratiche genocidarie che riducono milioni di persone a un destino senza futuro; mentre le devastazioni ambientali rendono inabitabili vasti territori del pianeta, l’Assemblea generale dell’Onu è segnata quest’anno da un’iniziativa ambiziosa e ambigua, fortemente voluta dal segretario generale Antonio Guterres: il «Summit of the Future».

L’idea di un vertice sul futuro, che Guterres avrebbe voluto già nel 2023, è scaturita dal rapporto richiesto dal segretario su una strategia per il mondo dopo lo shock della pandemia (Our Common Agenda, 2021).

NELLE SESSANTA PAGINE blindate sul fil di lama dopo cinque bozze negoziali, il Patto per il Futuro approvato a New York abbraccia aree decisive come lo sviluppo sostenibile, la pace e la sicurezza, la tecnologia e la cooperazione digitale, i giovani e le generazioni future, la trasformazione della governance globale con la riforma delle istituzioni finanziarie internazionali e del Consiglio di Sicurezza.

Oltre a un’altisonante dichiarazione di intenti, sulla cui attuazione è facile prevedere ruvidi negoziati futuri, il Patto comprende il Compact Digitale Globale, per colmare «il vuoto morale e regolatorio in cui avanza l’intelligenza artificiale», secondo il segretario generale. Infine, una Dichiarazione sulle Generazioni Future: queste non dovranno più essere escluse dai processi decisionali nazionali e internazionali.

Autorevoli voci dei delegati e della società civile ritengono che questo summit sia stato una grande opera di distrazione dagli sfavillanti fallimenti della comunità internazionale sulla Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Altri analisti intravedono invece un tentativo di rilancio in extremis di quegli obiettivi. In ultima analisi, la démarche di Guterres punta a restituire centralità alle bistrattate Nazioni unite, sotto attacco per ingegno degli stessi governi, anche a costo di maggiori aperture al settore privato (corporate e filantropico) e dell’inclusione di inedite componenti della società (sportivi, influencer, etc).

Nella fattispecie del summit, però, questa aspirazione ha tratteggiato una rotta negoziale non proprio specchiata. Del tutto inconsueti i metodi di approvazione dei testi. Preoccupanti le consultazioni con improbabili interlocutori della «società civile», come è accaduto a Nairobi a maggio scorso. Tant’è.

A SUMMIT concluso, appare difficile valutare l’ostinata proiezione di Guterres sul futuro mentre il presente arranca nel fallimento di impegni già assunti e nella bruciante impotenza del diritto internazionale di fronte ai villani che ne fanno scempio senza scrupoli, forti di impunità storiche.

L’Assemblea dell’Onu ha approvato di recente, a larga maggioranza (147 voti), una risoluzione senza precedenti che traduce in impegni politici il parere della Corte Internazionale di Giustizia contro Israele. Ora che succede? Quale esito concreto avrà per la popolazione di Gaza e Cisgiordania? Domande ineludibili, dopo un anno di genocidio in diretta.

Nel discorso di apertura del summit il segretario generale – lucido nella disamina sulla poli-crisi planetaria e incalzante sulla necessità di superare il deficit di fiducia nel multilateralismo – ha invocato che non possiamo aspettare l’avvento di tempi perfetti per ridisegnare le fondamenta di assetti istituzionali vecchi, geopoliticamente sbilanciati, palesemente incapaci di dare al mondo le soluzioni che servono. Ha ragione. Non convince tuttavia la impostazione di fondo del Patto, al netto della retorica.

Il documento riesuma la crescita economica come traguardo, l’esaltazione della proprietà intellettuale contro ogni evidenza empirica, il rilancio della finanza privata e del settore privato tout court, con i suoi soluzionismi di mercato privi di regole del gioco. Il Patto somministra per l’ennesima volta le sgualcite formule neoliberali, con il solo correttivo di superare la logica del Pil per misurare la performance economica, senza intaccare le insostenibili meccaniche di potere in un’economia che produce disuguaglianza e insicurezza.

TRA LE PAGINE si legge la riproposizione di strategie di privatizzazione in nome dello sviluppo che – sappiamo bene – impediscono l’accesso a diritti fondamentali come la salute, l’educazione, il cibo, la casa. Storie silenziose di violazioni della dignità umana che non fanno notizia, eppure segnano la vita di un numero crescente di persone nel mondo, anche a pochi passi dal Palazzo di vetro.

«L’Onu non è stata creata per portare l’umanità in paradiso, ma per salvarla dall’inferno», ha scritto Dag Hammarskjöld, il secondo segretario generale delle Nazioni unite. Se non affrontiamo l’inferno del presente con interventi immediati e praticabili di rottura dell’ipocrisia mondiale non andremo da nessuna parte. Non c’è retorica che tenga. Le nuove generazioni l’hanno compreso.

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