Nel burrascoso clima post-elettorale che si respira a Kinshasa la Corte costituzionale della Repubblica democratica del Congo ha aperto le udienze per i ricorsi presentati contro i risultati ufficiali delle presidenziali che si sono svolte lo scorso 30 dicembre.

IL PRIMO A ESSERE ESAMINATO sarà quello di Martin Fayulu, candidato della coalizione Lamuka che sarebbe arrivato secondo, quasi 4 punti dietro l’altro candidato dell’opposizione Felix Tshisekedi. La Commissione elettorale nazionale indipendente gli assegna il 34,83%, lui rivendica la vittoria con il 62%. Forte anche dei dati diffusi dalla Conferenza episcopale congolese, attore chiave della mediazione prima e del monitoraggio del voto poi. E accusa Tshisekedi di aver stretto un patto con il presidente uscente Joseph Kabila, che in teoria doveva stare alla finestra e mandare avanti il suo delfino Emmanuel Shadary, arrivato solo terzo, per orchestrare un «golpe elettorale».

È ANCHE IN CONSIDERAZIONE DI QUESTO, come se non bastassero i pesanti dubbi espressi da più parti sulla veridicità dello scrutinio, che l’influente organismo regionale della Comunità per lo sviluppo dell’Africa australe (Sadc) non si è limitato a invitare i litiganti a trovare un accordo, ma ha indicato anche come: mentre si procede al tranquillizzante riconteggio dei voti, sarebbe forse il caso di formare un governo di unità nazionale, è il consiglio. D’altro canto – riflette a voce alta in conferenza stampa il ministro degli Esteri sudafricano Lindiwe Sisulu  – «visto che sembra esserci stata una risoluzione amichevole tra Tshisekedi e Kabila, sarebbe logico pensare che venga considerato anche l’altro candidato, Martin Fayulu». Non sembrava avere alcuna intenzione di risultare ironico, Sisulu.

A COMPLICARE IL QUADRO ci si mettono ora i risultati delle legislative giunti sabato scorso. La coalizione di governo guidata dal Partito del popolo per la ricostruzione e la democrazia (Pprd), che era ragionevolmente certa di portare Shadary alla presidenza e invece in quel caso si è fermata, anche qui tra le polemiche, al 23,84%, si è ampiamente rifatto nel voto che assegna i seggi dell’Assemblea nazionale, garantendo a Kabila la possibilità di mantenere una discreta fetta del suo strapotere.

Per il resto sono poche le “distrazioni” rispetto al convulso scenario politico del momento, e sono tutte in qualche modo collegate a esso.

SUL FRONTE EBOLA, i 16 morti registrati dall’inizio dell’anno nuovo, fanno sapere le autorità sanitarie, nel Nord Kivu e nell’Ituri dove la nuova epidemia è esplosa lo scorso agosto, portano a 390 il numero dei decessi complessivi. Sul fronte invece delle violenze inter-etniche scoppiate circa un mese fa a Yumbi, provincia occidentale di Maï Ndombe, affiorano le dimensioni agghiaccianti di un vero e proprio eccidio avvenuto fra il 16 e il 18 dicembre. «Fonti credibili», come riferisce in una nota l’ufficio delle Nazioni unite per i Diritti umani, hanno registrato 890 persone uccise in quattro villaggi della zona. In quelli che «sembrano essere stati scontri fra le comunità di Banunu e Batende», non è chiaro se legate al voto o meno. Una «violenza scioccante» su cui sarà meglio «indagare subito», come esorta l’Alto commissario per i Diritti umani Michelle Bachelet. 16 mila persone in fuga hanno cercato rifugio oltre il fiume Congo, nel dirimpettaio Congo-Brazzaville. Era una regione considerata tra le più calme, questa.