La ghiaia bianca del cortile del Palazzo imperiale riflette la luce pallida del sole contro le finestre dei padiglioni della residenza. Le strutture sono essenziali, coperte da un tetto a spiovente verde acqua. I cortei d’onore, con le armi, gli strumenti e gli stendardi cerimoniali, sono disposti in ordine perfetto nello spazio quadrato. È un trionfo di colori. In questo teatro, precluso ai più, sta per tenersi uno spettacolo raro, unico nel suo genere.
Centinaia di dignitari stranieri assistono agli ultimi preparativi. Si attende in silenziosa tensione. Da lontano, ovattato, si alza un gracchiare di corvi. Nelle sale e nei corridoi interni, negli spazi che solo in quest’occasione le telecamere della tv pubblica restituiscono al pubblico, qualcuno si muove, silenziosamente, ordinatamente.

La luce del cortile penetra appena attraverso delle porte finestre che bordano il corridoio d’accesso alla matsunoma, la sala dove verrà presentato al mondo il nuovo imperatore.
Per primi entrano i rappresentanti dello stato: il primo ministro, i presidenti delle due camere della Dieta e il presidente della Corte suprema. Come degli automi che hanno esaurito il loro compito si bloccano, come fossero congelati. Fermi, ritti nei loro completi neri, gli sguardi impassibili, concentrati. Dalla luce si passa alla penombra. In lontananza, nel corridoio laterale, inizia il fruscio delle vesti cerimoniali.
Niente è lasciato al caso. Apre il principe della corona, l’erede al trono, seguito dai ciambellani e dagli altri membri maschi. Poi tocca alle donne. Infine, la coppia imperiale.
Il passo è lento, controllato, sacrale. Lo sguardo dei personaggi è fisso, leggermente rivolto verso il basso, quasi in trance. Ogni gesto, ogni posa, è calibrata al millimetro.

I giapponesi, scriveva Jun’ichiro Tanizaki, grande scrittore dei primi del ‘900, amano (o almeno «amavano» prima di abbracciare completamente la modernità di stampo occidentale) lasciarsi «inghiottire» dall’ombra e in essa scoprono la bellezza. La cerimonia di ascesa al trono dell’imperatore si situa ancora in questa tradizione. È l’ombra la vera protagonista di questo spettacolo. È grazie a lei infatti che i colori – rosso, giallo e bianco, viola e verde – degli abiti cerimoniali dei membri della famiglia imperiale e il bianco dei volti delle donne e delle loro dame di corte risaltano. Arrivati nel matsunoma, i due coniugi vengono condotti ai rispettivi troni, il takamikura e il michodai, in due piccoli padiglioni chiusi da tendaggi viola.

Una volta completata l’ascesa al trono, dal suo padiglione, il nuovo imperatore legge il discorso di insediamento. Da qui per il Giappone, inizierà una nuova era.
Manca poco più di un anno all’abdicazione dell’imperatore del Giappone – prevista per il 30 aprile 2019 – e all’inizio del processo di successione che porterà il primogenito dell’attuale sovrano, Naruhito, al Trono del Crisantemo, a trent’anni esatti dall’ascesa al trono del padre Akihito.

I preparativi per quel giorno sono iniziati già da diverso tempo. Nella primavera del 2016, la tv pubblica Nhk aveva pubblicato un’indiscrezione, proveniente da ambienti vicini all’Agenzia della Casa imperiale, circa la volontà del sovrano di abdicare. Pochi mesi più tardi, quella voce di corridoio sarebbe stata confermata dallo stesso sovrano in un videomessaggio.
«Negli ultimi anni ho più volte riflettuto sul mio ruolo di imperatore e a come potrò assolvere ai miei onerosi doveri nel prossimo futuro», ha confessato Akihito con il tono solenne e pacato che lo ha sempre contraddistinto.
«Credo che continuare nel mio ruolo di simbolo della nazione potrebbe farsi sempre più difficile da oggi in poi», ha aggiunto, riferendosi alle proprie precarie condizioni di salute – solo nel 2012 l’imperatore era stato sottoposto all’impianto di un bypass cardiaco. «Spero sinceramente nella comprensione di tutto il popolo giapponese».

Con il suo annuncio, Akihito ha gettato nel caos il governo, impreparato all’annuncio del sovrano e combattuto sul da farsi: assecondare la richiesta del sovrano o negare il diritto alla «pensione» secondo la legge?
Dalla restaurazione imperiale del 1868 nessun sovrano era mai ricorso all’abdicazione, un istituto non sanzionato dalla legge sulla Casa imperiale attualmente in vigore, ma comune prima della modernizzazione del paese.
Dopo mesi di discussione interna al governo e al partito di maggioranza, guidato dal conservatore Shinzo Abe, a maggio 2017, il parlamento ha approvato però una legge speciale ad personam: l’abdicazione sarà cioè concessa ad Akihito, ma non al suo successore né al successore del suo successore.

Lo stato, insomma, non concederà più il privilegio ad altri sovrani. Questi, paradossalmente, dovranno restare prigionieri del loro ruolo di emblemi dello stato stesso fino alla morte.
Eppure ammettendo candidamente la propria stanchezza, Akihito – l’«imperatore del popolo», vicino ai suoi sudditi nelle fasi subito successive alle recenti catastrofi naturali nonché il primo erede al trono del Crisantemo a sposare una donna borghese – aveva portato a termine la rivoluzione iniziata nel 1945 dal padre Hirohito, morto nel 1989 dopo 63 anni di regno.
Come il padre dovette ammettere di non essere un arahitogami, ovvero una incarnazione divina, e assumere il ruolo, più moderno, di monarca costituzionale, così Akihito ha riaffermato la propria fragile umanità.