Gli annunci sono trionfali. La realtà ben diversa. Ed è scritta nelle ultime righe dei comunicati. Il vertice al Mise convocato da Giorgetti – sotto la pressione di Salvini – con Farmindustria per riconvertire alla produzione di vaccini le fabbriche italiane si conclude con un roboante annuncio: «Esistono punti in Italia dove immaginare la riconversione degli impianti per la produzione di vaccini: il nodo è la scarsa presenza di bioreattori. Il governo sta verificando la possibilità dell’uso di bioreattori esistenti o di produrli ex novo e c’è la volontà di stanziare risorse e organizzare siti. Tra questi ultimi, quelli citati sono in Veneto, Lazio e Puglia». Tutto bellissimo. Poi in conclusione si annunciano i tempi reali. «I tempi vanno dai 4 ai 12 mesi e, per il know how, 6 mesi». Nella migliore delle ipotesi la produzione autarchica di vaccini, il sovranismo vaccinale, partirebbe fra 10 mesi, a novembre. Insomma, quasi inutile, quando la campagna vaccinale dovrebbe essere conclusa. In più «la riunione al Mise è stata aggiornata a mercoledì prossimo» per approfondimenti.
Quanto ai sei siti citati – a parte la Gsk di Siena – siamo al buio più profondo: si tratterebbe di aziende di solo infialamento che necessitano di ricevere il prodotto finito. Dunque, semplice subappalto della parte finale della catena di produzione. Magari a caccia dei lauti incentivi statali promessi da Giorgetti.
Proprio ieri poi la stessa Sanofi ha annunciato al manifesto che la sua fabbrica di Anagni – una delle poche in Italia con bioreattori – non sarà riconvertita alla produzione del vaccino Pfizer, come invece accadrà a alcuni stabilimenti francesi.
Meno trionfalismo traspare dai commenti dei presenti. «Il governo italiano ha ribadito la massima disponibilità sia in termini di strumenti normativi che di mezzi finanziari all’industria farmaceutica italiana per predisporre ogni tipo di strumento al fine di produrre un vaccino contro il Covid. Non è una cosa semplice questo processo di riconversione», ha dovuto riconoscere Giorgetti.
«L’industria italiana è pronta a questo progetto di grande collaborazione», ha detto il presidente di Farmindustria Massimo Scaccabarozzi.
Al vertice ha partecipato anche il commissario all’emergenza Domenico Arcuri che tutti davano invece come fantasma già dimissionato da Draghi. Come al solito l’inamovibile Arcuri è invece sopravissuto: rimarrà ancora in gioco, seppur con un ruolo ridotto.