Il sovranismo economico e politico di Erdogan, edulcorato nelle ultime ore dalla disperata invocazione ad Allah, («Dio è con noi»), è stato travolto dalla massiccia fuga di capitali dalla Turchia e dal devastante tracollo della lira turca che ha toccato la vertiginosa caduta del 20% per poi chiudere a – 15 %. Il terremoto si è abbattuto sul sistema bancario italiano ed europeo.

Crollata del 30% da inizio anno, la lira turca ha perso oltre il 7% nell’ultima settimana. Giovedì scorso la moneta ha toccato il minimo storico nei confronti del dollaro Usa: 5,4364. In poche ore il sisma finanziario generato da una politica autoritaria e sovranista ha intaccato come un virus le principali piazze europee. Maglia nera del Vecchio continente, Piazza Affari, che nel corso della convulsa giornata ha perso il 3%. Lo spread, già in fibrillazione per il sovranismo nostrano e le incertezze del governo Lega-M5S, ha toccato i 268 punti e nelle sale operative della comunità finanziaria si teme il peggio. Molti operatori sostengono che la crisi turca non è di immediata soluzione e potrebbe provocare tensioni forti sui tassi d’interesse.

L’uragano Turchia ha pesato soprattutto sulle banche italiane ed europee, fortemente esposte con il Paese appena uscito dalle elezioni. Il grido d’allarme è stato lanciato dal Financial Times: l’autorevole quotidiano anglosassone ha scritto che la Banca centrale europea sarebbe preoccupata per l’esposizione di alcuni istituti bancari europei in Turchia, dopo la pesante svalutazione della lira turca registrata negli ultimi mesi. Indizi preoccupanti c’erano già da qualche giorno: il Single Supervisory Mechanism nelle scorse settimane ha messo sotto la lente le attività dei principali istituti europei verso la Turchia.

Dall’indagine risulta che i gruppi bancari più esposti sono Bbva, Bnp Paribas e Unicredit. Per adesso la situazione non è considerata «critica» dalla stessa Bce, anche se, ha sottolineato il quotidiano, le svalutazioni dei crediti turchi denominati in lira turca potrebbero erodere parte del capitale degli istituti europei. Ft indica le vittime principali: gli istituti spagnoli complessivamente sono esposti verso la Turchia per 83,3 miliardi di dollari, quelli francesi per 38,4 miliardi di dollari e quelli italiani per 17 miliardi di dollari. L’istituto che ha subito i maggiori danni è Unicredit, per l’esposizione della banca in Turchia, dove è proprietaria dell’istituto Yapi Kredi. Ieri per Unicredit è stata una giornata da brivido: il titolo è stato sospeso al ribasso ed è rientrato in perdita del 5,8% a 13,6 euro, contro i 14,46 di apertura. Ha chiuso a meno 4,5%.

Ieri nel grattacielo a forma di cono rovesciato, situato nella moderna piazza Gae Aulenti a Milano, si respirava un’aria pesantissima. Nessuna dichiarazione ufficiale dei vertici del colosso bancario ma le cifre parlano da sole. Unicredit è presente in Turchia attraverso Yapi Kredi con Koç Financial Services (Kfs), una joint venture paritetica al 50% tra Unicredit con Koç Group: si tratta di 788 sportelli e asset per 365 miliardi di lire turche. Unicredit e Koç detengono insieme l’82% di Yapi. Nel corso del primo semestre il contributo di Yapi Kredi al conto economico di Unicredit è stato di 183 milioni di euro (+28% nel secondo trimestre a cambi costanti, ma -3,4% per effetto della svalutazione della lira turca).

Si tratta di meno del 2% dei ricavi del gruppo. Il gruppo lo scorso 7 agosto, in occasione della presentazione dei risultati, ha spiegato agli analisti che una svalutazione del 10% della lira turca avrebbe un impatto di circa 2 punti base sull’indicatore patrimoniale Cet1. In tutti i casi fino a giugno 2018, il gruppo ha prestato particolare attenzione ai rischi geopolitici «specialmente in Turchia e in Russia», che richiedono «cautela». E proprio in Turchia, evidenzia la banca nella relazione finanziaria semestrale consolidata al 30 giugno 2018 depositata ieri, nella sezione in cui si analizzano gli scenari internazionali, «il modello di crescita basato sull’indebitamento sembra non essere più sostenibile, nonostante una buona crescita nella prima parte del 2018. Il forte aumento dei costi di finanziamento ha costretto le banche private e straniere a rallentare bruscamente l’offerta di prestiti».