E adesso dentro il tritacarne delle molestie è finito anche il regista Fausto Brizzi. Detto fra noi, e senza nulla togliere alle accuse delle dieci attrici che a Le iene hanno raccontato come e quanto abbia messo loro le mani addosso, io avrei già tacciato di molestaggine dello spettatore i suoi mediocrissimi film, ma questa è un’altra storia.

Per precisione di cronaca, il giorno prima che la trasmissione andasse in onda, Brizzi ha messo le mani avanti dicendo: «Mai e poi mai nella mia vita ho avuto rapporti non consenzienti».

Subito dopo si è aperta la battaglia fra innocentisti, deviazionisti, pragmatisti.

Gli innocentisti hanno detto che ormai si è arrivati al ridicolo e non se ne può più di queste denunce, senza però spiegare dove stia il ridicolo.

I deviazionisti sostengono che, di questo passo, si rischierà un’accusa di molestie solo per un ammiccamento e quindi fine del meraviglioso gioco del corteggiamento.

I pragmatisti hanno stilato un decalogo del comportamento che un’attrice dovrebbe tenere per non farsi sorprendere dal molestatore, e siamo quindi ai suggerimenti di difesa per la possibile vittima invece che alla chiamata di responsabilità del presunto colpevole.

Direi che urge intendersi sul significato di corteggiamento e consenziente.

Un regista, un produttore, un professore universitario, un capoufficio, insomma un superiore di grado che ci prova, allunga le mani, invita a cena anziché in ufficio un’attrice, una studentessa, una dipendente o una collaboratrice e fa delle avances, si struscia, accarezza, ammicca e invita più o meno palesemente a essere sessualmente disponibili, abusa della sua posizione di potere, costringendo la donna in questione a decidere se rispondere per le rime, scappare o starci e già questo è estremamente sgradevole perché si carica su di lei l’onere della difesa e non su di lui la responsabilità dell’aggressione.

Dove sta scritto che, se lui è arrapato, può allungare le mani a piacimento ma poi è lei a dover saper dire di no?

Certo, il mondo è pieno di relazioni nate sul posto di lavoro, di studentesse o studenti che si sono invaghiti di un professore avvenente, di personaggi che si sono innamorati del o della giornalista che li intervistava, di attori che hanno perso la testa girando insieme un film, di attrici che hanno sposato un produttore o un regista, cantanti che si sono legate al loro agente, ma sono pronta scommettere che nessuna unione felice, e sottolineo reciprocamente felice, possa cominciare con una molestia o l’imposizione del potere di uno sull’altro.

Se succede, non siamo in presenza di una relazione appagante per entrambi, ma malata o squilibrata e allora entriamo in un campo minato, quello, come ha detto Lea Melandri,«della complessità e ambiguità del rapporto tra uomini e donne: una relazione che intreccia perversamente vita privata, violenza e potere».

E veniamo al corteggiamento. Consiglio di rispolverare il vocabolario. Dice la Treccani alla voce corteggiare: «Cercare di conquistare l’attenzione e l’affetto di qualcuno con gentilezze, complimenti e simili». Alla voce corteggiamento specifica: «In etologia, l’insieme dei comportamenti che in molte specie animali precedono l’accoppiamento, e che comprendono complesse sequenze in cui il maschio e la femmina si scambiano stimoli visivi, uditivi, chimici o tattili che hanno come scopo il riconoscimento specifico, il superamento della barriera aggressiva del partner e la sincronizzazione nella fase dell’accoppiamento».

Ecco, caro genere umano, cominciamo a imparare dagli animali, ché fanno meno danni.

mariangela.mianiti@gmail.com