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Il sortilegio fonico di Roberta Durante

Il sortilegio fonico di Roberta DuranteDa «Le Macchine di Munari», Einaudi, 1942

Poesia italiana Rivitalizzare il mondo vuol dire strofinare le parole fino a farle brillare di una luce diversa, inedita... «I bimbi sperduti» (Einaudi), la nuova raccolta della poetessa trevigiana classe 1989

Pubblicato più di un anno faEdizione del 25 giugno 2023

Dopo Le istruzioni del gioco (pubblicato nella collana «novecento/duemila» de Le Lettere, nel 2020) torna Roberta Durante, con un libro accolto stavolta dalla «bianca», I bimbi sperduti (Einaudi «Collezione di poesia», pp. 154, € 13,00). Classe 1989, Durante si è presto guadagnata le attenzioni, fra gli altri, di Tiziano Scarpa e di Gabriele Frasca. Con la sua «voce primordiale» ha scelto, ancora una volta, di puntare soprattutto su un’antica, mai veramente dismessa arma della poesia, quella del sortilegio fonico, della malìa verbale, scendendo all’origine del connubio fra lingua e infanzia: «Ho comprato un cestino al mercatino dell’usato / e ci ho trovato dentro un regno magico, dorato / come Colchide dove setaccio ogni mattina / un giorno nuovo, dopo un sogno, un uomo / che non dorme, il mio informe dono». L’autrice di questi versi pare aver introiettato una qualche sfiducia nella parola, il timore di un’impossibilità di attraversare fino in fondo il diaframma che divide verba e realtà («vedrai come la barca delle parole andrà in fumo»). Eppure, allo stesso tempo, le parole sono per lei anche il «rimedio innaturale / per ogni sciagura», e non di rado una vera e propria «libidine». Del resto, Durante risulta perfettamente a suo agio dentro l’ossimoro, la coincidenza dei contrari è una dimensione subito connaturata a questa scrittura, nella quale si tenta di osservare «ciò che non esiste», mentre chi scrive riesce ad essere «felice e triste» insieme.

La poesia si dà dunque anche come rottura di un quotidiano sempre a rischio di grigiume e banalità, che si perpetua grazie a una semplice «abitudine alla vita». Scrivere versi è rispondere a un impossibile desiderio di sempre-nuovo (Preghiere e desideri si intitola la prima sezione del libro) o a un salto irrazionale, appoggiandosi spesso sulla manipolazione linguistica. Non a caso, le infrazioni giocose del senso comune, del sintagma trito, sono uno strumento continuamente sfruttato. Eccone un campionario minimo, nel quale le marche da bollo diventano «marche da ballo», i fermenti lattici diventano «laici», compaiono dei «cercatori d’uova» (e non d’oro), ogni vostro desiderio non sarà un ordine ma «una rondine», e così via, fiduciosamente alterando: reinventare il mondo, rivitalizzarlo, vuole dire anzitutto strofinare le sue parole fino a farle brillare di una luce diversa, inedita. È uno sforzo di re-incantamento del reale – di tutto il reale, non escluse le sue brutture – sempre a rischio di fallire, e l’autrice di questo libro ne è perfettamente consapevole: «Non so più come fare per cercare / una nuova lingua madre, una linfa / che mi distragga e dia vita / alla parola sfinita». Un’ottima alleata, in questa chiave, è certamente la rima, che a volte sostiene pacata l’andamento disteso e avvolgente del verso; altrove arriva imprevista, in clausola, a far «rifiorire» il pensiero o, viceversa, a troncarlo con nettezza, in ogni caso spostando il centro logico del ragionamento («intanto / mi lascio ammaliare da questo principe blu malinconico / che dà feste nel mio cuore osceno, monastero romantico / nudo e sempre nuovo batte la campana del mio cantico»).

Cura del significante e impiego generoso della rima fanno intravedere, alle spalle di chi scrive, soprattutto un lare di casa come Andrea Zanzotto (anche lui trevigiano), che qui è peraltro espressamente alluso, per esempio in una poesia che cuce insieme la frugalità del narratore di Parlami ancora e la sperimentazione pirotecnica di Conglomerati, l’ultima raccolta zanzottiana. D’altra parte, il dialogo con la figlia Susanna, avviato già nelle prove precedenti – con un istinto amorevolmente didattico che qui si percepisce sin dall’inizio del libro – sembra rimandare a un vecchio, fondamentale amore di Roberta Durante, cioè Edoardo Sanguineti: il testo d’esordio fa in qualche modo anche da silenzioso omaggio al poeta genovese, soprattutto quello di Purgatorio de l’Inferno e di Postkarten, con la sua denuncia della mercificazione dilagante («Guarda bambina questa enorme stanza (…) / bambina mia si vende tutto al metro quadro (…) Guarda bambina guarda le favole, l’oroscopo / e impara»).

Più in generale, l’imperativo è davvero il modo, il tono eletto di questa poesia, la nota preferita con la quale si può dare il la a molte delle liriche del libro (basterebbe mettere in fila gli incipit e citare: Guarda, considera, portami, non dirmi, avvicìnati, ecc.). Che scelga di chiamare in causa un tu o che si presenti autonomamente, in prima persona, quella di Durante resta comunque una poesia fortemente affermativa: l’uso insistito dell’io non le crea problema, né le interessano di norma – come accade invece per varie esperienze poetiche contemporanee – ipotesi di una sua marginalizzazione, che faccia emergere in primo piano oggetti o altri elementi, con la funzione di circoscrivere in qualche modo il reame del soggetto. «Io non mi accontento – quasi mai», scrive Durante. E ancora: «Io voglio avere le ali, non posso più aspettare»: nel caleidoscopio vertiginoso di questi versi l’io sta continuamente esposto, fa ininterrottamente i conti con le proprie brame (illusioni?), avvertendo la nostalgia di un paradiso «perso» o «liso», di un «altro mondo, dove la luce mostra / che non esiste morte». Dentro una sensazione di mite onnipotenza, destinata però a rivelarsi ingannevole, l’infanzia sembra essere per Durante, più che una miniera rimasta per sempre alle spalle, una possibilità veniente. Il suo tempo è il domani, il suo simbolo araldico è una speranza «squadrata / centellinata, misurata al millimetro», insomma faticosamente ma pervicacemente tenuta in vita. E il suo angelo custode è San Giorgio (nume tutelare della parte più intensa di Bimbi sperduti, Lettere a San Giorgio e a te): «morto tre volte» ma naturalmente «risorto». Con questa scorta Roberta Durante può «raccogliere le cose dei morti» e al contempo «collezionare / la vita»: può confidare nel prodigio di assegnare «ad ogni posa morta / la sua dose di infinito».

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