«Era gentile», «Sembrava contento», «Armato? Non sono sicuro». Volti, non contratti dalla paura, quanto perplessi, meravigliati, come se stessero svegliandosi da una trance nemmeno troppo sgradevole. Lo shock degli impiegati di banca dell’ultimo film di David Lowery, The Old Man & the Gun, non è quello a cui siamo abituati dopo una rapina in un gangster film. Forse perché Lowery, qui anche sceneggiatore, ha un modo tutto suo di riscrivere storie già viste (come nel gotico Storia di un fantasma, e nel western Senza santi in paradiso); o, più probabilmente, perché’ l’uomo che si affaccia allo sportello di una lunga catena di banche tra il Texas e il Midwest, porgendo ai cassieri una borsa che riempiranno di denaro senza battere ciglio, ha il volto di Robert Redford.

IN QUELLO che ha definito l’ultimo film della sua carriera di attore, immerso in una dolce, polverosa, luce anni settanta, e disegnato in un zig zag per il paese che ricorda le scorribande da grande Depressione di Bonnie e Clyde, il Sundance Kid – stesso sorriso irresistibile, stesso lampo di trasgressione negli occhi blu- è oggi ladro gentiluomo. Un anziano signore, elegante e cortese, che rapina banche –non perché ne ha bisogno ma per pura passione. La passione della sua vita. Ispirato da un articolo dallo stesso titolo, pubblicato sul «New Yorker» nel 2003, il film è la storia di un plurisessantenne, Forrest Tucker che, nel 1981, insieme a due amici agé come lui, svuotò le casseforti di diverse banche.

Dopo quello che è stato un po’ il suo Gran Torino, All Is Lost, Redford, cha ha più di ottantanni, sceglie di congedarsi con un film più lieve, un riff quasi giocoso sul mito dell’individualismo americano e dell’indipendenza (che è poi anche la sua, difesa ostinatamente da sempre), in cui c’è spazio per una love story autunnale con Sissy Spacek, vedova proprietaria di un ranch troppo grande per lei ma che non vuole lasciare, che non sa nulla delle sue attività criminali ma che intuisce un segreto, e ne è sedotta. Come disse Sydney Pollack, uno dei registi con cui l’attore/autore/ambientalista ha lavorato meglio e di più: «Redford porta in sé qualcosa di misterioso. Hai l’impressione che se ha dieci dollari in tasca te ne dà cinque ma tiene nascosto il resto. Credo che molto del suo fascino stia proprio lì».

FORREST (Redford) e Jewel (Spacek) si incontrano quando lui, in fuga da uno dei suoi colpi, si ferma con la scusa di aiutarla ad aggiustare il pick up in panne. Solo che, ammette poco dopo, di motori non sa nulla. Così finiscono in un coffee shop a chiacchierare, davanti a un tavolo di formica, studiandosi l’un l’altro. Tra i giovani autori ai quali Redford attore si è generosamente affidato negli ultimi anni, Lowery, che ha scelto di girare in 16mm, ha un occhio e uno stile molto meno piatti di quelli di Ritesh Batra (che ha diretto il suo duetto con Jane Fonda, Our Souls at Night). Sia le scene con Jewel, che le rapine, che i momenti passati a pianificarle con i due partner (Danny Glover e Tom Waits), che gli inseguimenti, hanno un’elegia dolce e allo stesso tempo irriverente. Lowery stabilisce il tono di quel mix fin dall’inizio – quando, dopo la prima rapina, la macchina da presa in movimento abbandona

Forrest in fuga per seguire un gruppo di bambini che stanno riempendo un muro di graffiti. Rubare per Forrest è un gioco, una meravigliosa avventura infantile. E un mix che cattura anche l’immaginazione di uno dei poliziotti sulle sue tracce (interpretato da Casey Affleck, attore abituale di Lowery). Forse più interessato ad osservarlo che a richiuderlo dietro alle sbarre.