Circondata da un alone di neutralità che tende a decontestualizzare i suoi oggetti e le sue regole, la matematica ha tradizionalmente celato la propria sottile dimensione di genere, centrata sulla prevalenza del ragionamento logico-deduttivo secondo una connotazione che privilegia l’approccio maschile alla soluzione dei problemi.

Questo aspetto, connesso alla più generale invisibilità delle donne laddove si tratti di riconoscimenti accademici, spiega perché quando nel 2014 il massimo riconoscimento nella ricerca matematica è andato per la prima volta a una donna, la notizia è stata proprio questa interruzione della monotona successione di riconoscimenti maschili piuttosto che la rilevanza degli studi che questa giovane donna aveva condotto. La giovane donna era Maryam Mirzakhani, allora trentasettenne,di origine iraniana, attiva ad Harvard, a cui era stata assegnata la medaglia Fields, il più prestigioso riconoscimento nella ricerca matematica, per i suoi studi sulla geometria delle superfici di Riemann, che evidenziavano la semplicità intrinseca della dinamica di spazi all’apparenza complessi.

MARYAM MIRZAKHANI ci ha lasciato sabato all’età di quarant’anni, a seguito di una implacabile malattia. Restano alla comunità scientifica i suoi studi, il cui valore è testimoniato dal riconoscimento assegnatole, e l’importanza intrinseca di una ricerca femminile, apprezzata, valutata, premiata.

È strana, infatti, al vicenda del rapporto tra matematica e genere: molte le studentesse nelle facoltà di matematica, spesso più apprezzate dei colleghi maschi, nutrito il numero di matematiche docenti ai diversi livelli dell’istruzione anche universitaria, scarso il numero di studentesse premiate nelle competizioni internazionali, ridottissimo il numero di riconoscimenti internazionali di alto livello. Si sentono ancora gli echi della frase misogina attribuita al grande matematico Hermann Weyl (1885-1955): «Ci sono state solo due donne matematiche nella storia, Sofija V. Kovalevskaja (1850-1891) ed Emmy Noether (1882-1935): la prima non era una matematica, la seconda non era una donna». Difficile per lui riconoscere come il rigore della ricerca matematica potesse coniugarsi all’intrinseca creatività dell’approccio femminile al sapere. Del resto al suo tempo ma anche fino ai nostri giorni, questa visione poteva trovare conferma nel fatto che ben pochi riconoscimenti venissero assegnati alle donne: per lungo tempo Emmy Noether era stata la sola donna ad aver tenuto, nel 1932, una conferenza nella sessione plenaria dell’«International Congress of Mathematicians»; qualche altra in articolazioni laterali dei congressi, non in plenaria.

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Maryam Mirzakhani, invece, donna, matematica, iraniana, riconosciuta al più alto livello (una sorta di premio Nobel per la matematica, disciplina non prevista tra i «maggiori servizi all’umanità» dall’inventore della dinamite). Altre tappe vittoriose hanno caratterizzato il suo percorso sin da giovane: studentessa a Teheran, è risultata vincitrice della medaglia d’oro alle Olimpiadi internazionali di matematica nel 1994 e nel 1995, quando aveva tra i diciassette e i diciotto anni, ottenendo il punteggio pieno. Sempre a Teheran ha studiato alla Sharif University of Technology per poi completare, grazie alle capacità via via dimostrate, il suo percorso, con il conseguimento del dottorato negli Stati Uniti, a Harvard nel 2004. La sua tesi, sviluppata sotto la guida di Curtis McMullen, a sua volta vincitore della medaglia Fields nel 1998, era intitolata Simple geodesics on hyperbolic surfaces and the volume of the moduli space of curves. Per dare un’idea del suo lavoro, va considerato che una «geodetica» è una linea di minima lunghezza che congiunge due punti; inoltre su una superficie iperbolica (in geometria quindi non euclidea) si possono studiare i comportamenti di alcune geodetiche che invece di rappresentare il più breve cammino tra due punti diventano infinitamente lunghe o, al contrario, si rinchiudono su se stesse come fossero circonferenze tracciate su una sfera. Il numero e la lunghezza di queste geodetiche chiuse nelle superfici iperboliche è stato l’oggetto della tesi di dottorato di Mirzakhani che ha enunciato una formula ricorsiva per il calcolo del volume Vg,n dello spazio dei moduli di superfici iperboliche di Riemann di genere g con n componenti geodetiche di bordo.

I SUOI STUDI sono proseguiti come Reserch Fellow al Clay Mathematics Institute di Providence (Rhode Island) per diventare assistente alla Princeton University e quindi professore a Stanford, in California. L’interesse è stato sempre rivolto alla geometria delle superfici di Riemann e ai relativi spazi dei moduli, cioè spazi che, in geometria algebrica, parametrizzano classi di isomorfismo di oggetti di tipo fissato e che si considerano nella classificazione di tali oggetti. In questo campo la giovane matematica ha ottenuto risultati spesso definiti sorprendenti perché in grado di descrivere l’intrinseca semplicità della dinamica di spazi all’apparenza complessi. Questa riscoperta di una sorta di «semplicità» intrinseca in strutture che si presentano come complesse è all’origine della valutazione di originalità e sofisticatezza riconosciuta ai suoi studi e ha fatto sì che sebbene il suo lavoro appartenga alla ricerca matematica teorica, pura, le implicazioni che esso ha determinato e determinerà continueranno a riguardare numerosi campi d’indagine, dalla fisica alla combinatoria, allo studio dei sistemi dinamici.

IL RICONOSCIMENTO internazionale ne ha esaltato l’importanza. Una malattia crudele li ha interrotti. La comunità matematica saprà utilizzarli per costruire nuove aree di indagine. Resta, oltre a essi e al sorriso delle sue immagini, la capacità di una istituzione allora quasi ottantenne di apprezzarli e di sfidare la tradizione precedente assegnando la medaglia a una donna. Mi capitò allora di scrivere: «La comunità matematica ha questa volta effettivamente soddisfatto quella connotazione di oggettività che tale disciplina dovrebbe portare con sé: si è arricchita infatti dei contributi di chi a essa dedica intelligenza e passione, indipendentemente dalle logiche della implicita selezione accademica che spesso esclude pur nella sua apparente neutralità. Questa volta ha finalmente riconosciuto l’essenzialità e l’assoluta rilevanza del contributo scientifico di una donna, di una giovane, di una migrante da un lontano paese. Un buon risultato per il 2014 della scienza».

Il senso di tristezza che lascia la sua scomparsa non riesce a offuscare la vivacità dell’approccio culturale che lei ha saputo dare a quest’ambito specifico di ricerca disciplinare, apparentemente distante, né l’aria nuova che quel premio meritato e assegnato ha fatto entrare.