L’impassibile Luigi Di Maio siede accanto a Giuseppe Conte. Ma si fa scappare un sorriso quando Matteo Salvini, nel suo intervento da senatore dopo avere simbolicamente abbandonato i banchi del governo, dice «se volete io ci sono». Di Maio ride, scuote la testa e dice a chi gli sta a fianco: «Non ci posso credere. È incredibile».

È una scena che riassume il conflitto interno del «capo politico» del Movimento 5 Stelle. Il personaggio che quasi fino all’ultimo ha sperato in una ricucitura con Salvini, il leader leghista del quale fino a poco tempo fa aveva deciso di fidarsi, ha dovuto cedere il passo soltanto di fronte alla risolutezza di Beppe Grillo. Adesso però Di Maio sorride, perché questa è la faccia che bisogna assumere, visto che il M5S a stragrande maggioranza ha deciso di considerare finita la stagione del governo con Salvini e la Lega. Per molti grillini è stata una specie di liberazione, di emancipazione dalla realpolitik al quale il contratto di governo li aveva vincolati. Per Di Maio è stato una specie di fallimento personale, qualcuno gliene ha anche chiesto conto alla riunione congiunta dei gruppi parlamentari.

Poi, di fronte agli attacchi dei leghisti e all’esigenza largamente condivisa di trovare un modo per far proseguire questa legislatura, il processo al leader è passato in secondo piano. «Non possiamo permetterci di aprire un dibattito dilaniante adesso», dicono i parlamentari che lo avevano maggiormente attaccato.

La scena del sorriso di fronte alle parole di Salvini, inoltre, riassume la fase politica e la situazione di Di Maio perché quest’ultimo si trova accanto a Conte, il presidente del consiglio che solo poche ore prima ha definito «una perla rara». È a Conte che il vicepremier ha deciso di ancorarsi quando ha capito che non c’erano speranze di riallacciare i rapporti con Salvini. La linea di Conte, un po’ arringa un po’ requisitoria, prevede che l’attività di 18 mesi di governo debba essere salvata, non contempla critiche e tantomeno autocritiche: «Noi stavamo lavorando bene ma Salvini ha prima oscurato le nostre misure e poi deciso di staccare la spina», è la sintesi che non lascia spazio ai dubbi di chi aveva mal digerito la scelta di allearsi con la Lega.

Per questo il discorso al senato del presidente in procinto di dimettersi offre un ombrelllo politico anche a Di Maio e ai suoi pretoriani, Alfonso Bonafede e Riccardo Fraccaro, che in questi mesi hanno rappresentato il volto governativo e pragmatico del grillismo.

Di Maio promette che le trattative con il Pd verranno affidate ai capigruppo Stefano Patuanelli e Francesco D’Uva e che i parlamentari verranno man mano informati della situazione e coinvolti nelle decisioni. «Si respira un’altra aria, speriamo continui così», ammette un parlamentare che fa la spola tra l’aula e piazza Montecitorio. In effetti, si sta sperimentando una linea gerarchica impossibile da pensare solo fino a un mese fa. Un mutamento che la dice lunga sulla disponibilità alla mediazione interna di un capo politico dimezzato.