Nell’affollato atrio del Teatro Eden sorride Marco Piagentini, presidente dell’associazione «Il mondo che vorrei» che riunisce i familiari delle 32 vittime della strage ferroviaria di Viareggio. A quasi mezzanotte del 29 luglio 2009 la deflagrazione per lo scoppio di una cisterna di gpl trasportata dal treno merci deragliato in stazione, gli uccise la moglie e due figli piccoli. Lui sopravvisse, ma rimase gravemente ustionato come testimonia il suo volto comunque solare, che esprime uno spirito forte e propositivo dopo quasi dieci anni di impegno e lotta collettivi per avere giustizia.

È Piagentini il protagonista del bel documentario in anteprima mondiale Il sole sulla pelle di Massimo Bondielli e Gino Martella (fondatori della Caravanserraglio Film Factory), che hanno osservato per cinque anni l’attività di ricerca e ricostruzione della verità dell’associazione. Dall’iniziale pedinamento dei passi del chirurgo circondato dal silenzio dei lunghi corridoi ospedalieri, prima dell’intervento a Piagentini, alla posa finale, serena e libera, di chi ha ritrovato il piacere di sentire la sabbia sotto i piedi, trascorre un’ora che riassume un quinquennio di dolore, rabbia, lotta, dignità, gioia e rielaborazione di lutto.

NIENTE SUONI superflui, solo quelli essenziali della quotidianità di chi deve rimodulare il proprio senso della vita. Lo sguardo discreto degli autori segue Marco mentre si allena sulla cyclette nel chiuso di una stanzina seminterrata, indugia su Daniela Rombi al cimitero mentre si cura dei morti e parla con loro e soprattutto a sua figlia, morta dopo 42 giorni di agonia . Le tragedie private hanno assunto da subito valenza collettiva, non solo fra i familiari ma in tutta una città ferita nel profondo perché consapevole che non è stata colpa del destino: ci sono delle responsabilità precise di amministratori delegati che hanno risparmiato scientemente sulla sicurezza seguendo le loro ciniche logiche di mercato. Lo sapevano i ferrovieri che da tempo denunciavano obsolescenze e tagli sulla manutenzione, avvisando sui rischi reali.

Inascoltati, nonostante deragliamenti e incidenti evitati, addirittura licenziati per avere detto la verità (tradotto in danno d’immagine per l’azienda) come nel caso di Riccardo Antonini, consulente e attivista dell’associazione. Lo ha stabilito infine la sentenza di primo grado del tribunale di Lucca, condannando tutti i 23 dirigenti responsabili della filiera ferroviaria, in primis l’Ad cavaliere del lavoro Mauro Moretti. UNA CONDANNA che rischia di essere vanificata all’udienza di stamani a Firenze per il processo d’appello o per la prescrizione di alcuni reati colposi. «Il mondo che vorrei» sa però che il dolore e la sete di verità non può stare confinato negli individui o in una sola città, perciò abbraccia con iniziative e partecipazione contraccambiata i familiari delle vittime della Moby Prince, della Thyssenkrupp e delle troppe realtà di strage per logiche imprenditoriali malate.

IL SOLE SULLA PELLE brucia, specie se scoperta e ipersensibile come ormai è quella di Marco. Non per questo si è dato per vinto, anzi corre in bicicletta la mattina presto fra mare e colline e in occasioni speciali in pieno giorno, inguainato e mascherato come un supereroe, per partecipare a ciclopedalate di solidarietà. Non rinuncia al mare e passeggia in riva protetto da un grande parasole bianco. E come lui, Daniela e gli altri sanno anche fare festa, ballando e cantando, proprio in nome di quella vita che i loro cari hanno perso. Il film, dopo il corto Ovunque proteggi (menzione speciale ai Nastri d’Argento 2017), dà pieno accesso a questa «rete solidale e di emozioni». Per dirla con Daniela, «questo film sprigiona amore» e rispecchia la loro «voglia di fare qualcosa di buono e giusto per gli altri, per i figli, per chi verrà».