‎«Vorrei aver scattato questa fotografia. Mi chiamo Yasser ‎Mortaja, ho 30 anni, vivo a Gaza, e non ho mai viaggiato ‎in vita mia». Avrebbe voluto visitare altri Paesi, conoscere ‎altre culture il giornalista Yasser Mortaja e lo aveva scritto ‎appena due settimane fa su Facebook postando una foto ‎fatta dall’alto del porto di Gaza. Da poco aveva ottenuto ‎una borsa di studio per completare la sua formazione ‎professionale a Doha, nella sede centrale di al Jazeera, il ‎salto di qualità che aspettava dopo anni di lavoro per una ‎piccola casa di produzioni tv, al Ein. Una collega, Hana ‎Awad, lo ricorda come un ragazzo attivo, non affiliato ad ‎alcuna forza politica: ‎«Voleva solo viaggiare e imparare‎». ‎Quel sogno Yasser Mortaja, padre di un bambino di due ‎anni, non potrà realizzarlo. E’ spirato nella notte di venerdì ‎dopo aver lottato contro la morte per ore.

‎ Ad ucciderlo è stato un proiettile sparato da cecchino ‎israeliano durante la Marcia del Ritorno. Assurdo parlare ‎di una pallottola vagante. Mortaja, quando è stato colpito, ‎era a circa 100 metri dalle barriere sulle linee di ‎demarcazione tra Gaza e Israele, all’altezza di Khan Yunis. ‎Indossava il casco e un giubbotto antiproiettile con la ‎scritta “Press”. Chi ha sparato sapeva dove mirare: appena ‎sotto l’ascella, mentre il giornalista teneva sollevata con un ‎braccio la sua macchina fotografica. I medici hanno fatto ‎di tutto per fermare l’emorragia interna. Niente da fare. ‎L’esercito israeliano ha commentato l’accaduto sostenendo, ‎come aveva fatto il 30 marzo, di aver sparato ‎«solo contro ‎gli ‘istigatori’ coinvolti in attacchi ai soldati‎» e di non ‎prendere di mira deliberatamente i giornalisti.‎

‎ Un corteo di centinaia di persone commosse ha ‎accompagnato ieri nelle strade di Gaza city Mortaja nel ‎suo ultimo viaggio. Famiglia, colleghi e amici hanno ‎seguito tra le lacrime la salma avvolta nella bandiera ‎palestinese. A Ramallah, in Cisgiordiania, una cinquantina ‎di giornalisti si sono raccolti per rendergli onore e il ‎sindacato della stampa palestinese ha ricordato che venerdì ‎altri cinque reporter sono stati feriti. In quello stesso ‎momento a Rafah un’altra folla commossa ha partecipato ai ‎riti funebri per Alaa al Zamili, 16 anni, ucciso assieme a ‎Mortaja e altri otto palestinesi.‎

‎ Sono almeno 31, secondo i dati del ministero della ‎sanità a Gaza, i palestinesi uccisi e 2.850 feriti dal 30 ‎marzo, quando è cominciata la Marcia del Ritorno. 79 ‎feriti sono in condizioni critiche. Civili ai quali non porta ‎alcun conforto il comunicato diffuso ieri dall’Unione ‎europea: ‎«Questi fatti sollevano seri dubbi sull’uso ‎proporzionato della forza…Devono inoltre essere chiariti i ‎rapporti delle forze di difesa israeliane sul lancio di pietre ‎e bombe incendiarie contro le loro posizioni e sui tentativi ‎di attraversare la recinzione‎». Intanto i media occidentali ‎danno in evidenza maggiore alla versione israeliana ‎dell’accaduto che descrive i manifestanti come marionette ‎pronte a morire su ordine dei “registi” della Marcia del ‎Ritorno, gli islamisti di Hamas, in cambio di 3.500 dollari ‎per le loro famiglie. Riferiscono di ‎«scontri violenti» e di ‎Israele costretto a difendersi dagli «attacchi terroristici» ‎palestinesi. Sorvolano sull’impiego di tiratori scelti ‎israeliani, sulle decine di morti da una sola parte e su Gaza ‎stretta da oltre dieci anni nel rigido embargo attuato da ‎Israele che ha trasformato in detenuti due milioni di ‎palestinesi.‎

‎ Analisi e commenti si concentrano solo sui vantaggi ‎politici che la leadership di Hamas starebbe ottenendo dal ‎ritorno di Gaza al centro dell’attenzione e ‎dall’impossibilità, di fronte a tanti morti e feriti, per il ‎presidente dell’Anp Abu Mazen di introdurre sanzioni ‎contro il movimento islamista dopo lo stop alla ‎riconciliazione palestinese. ‎«I vantaggi che Hamas ‎starebbe ottenendo sono di poco conto in questa situazione ‎‎– spiega l’analista Ghassan al Khatib -, la cosa più ‎importante è che la gente di Gaza vuole una soluzione ai ‎suoi problemi, chiede la fine del blocco israeliano e ‎l’apertura del valico di Rafah con l’Egitto». Per questi ‎motivi, prevede al Khatib, ‎«‎continuerà la Marcia del ‎Ritorno per i suoi diritti, a prescindere dagli interessi di ‎tutte le forze politiche». ‎