Ai bagliori di un decennio assordante, siamo negli anni ’90, fatto di logore chitarre all’eccesso, musica house contaminata dal mainstream, gangsta rap sdoganato dalle strade, qualcosa di essenziale, lirico, vitale ed elegiaco in ugual misura, ha illuminato quel panorama musicale confuso e ancora in fase di definizione. Una scintilla, sfavillante e breve per sua stessa natura, che rispondeva al nome di Jeff Buckley, un solo album, Grace, ancora oggi un classico, anche per le nuove generazioni. Pochi anni di attività, un successo sempre crescente, trascinato dalla cover di Hallelujah di Leonard Cohen, e infine la tragica scomparsa, nel 1997, quando il cantante perse la vita nelle torbide acque del Mississippi. Dal quel giorno, il dolore e la frustrazione per quel talento perso per sempre ha prodotto una serie, a volte discutibile, di album postumi a partire da Sketches for My Sweetheart the Drunk, una collezione di demo e di canzoni inedite uscito nel 1999.

L’11 marzo uscirà per la Sony You And I, il quinto disco postumo di Buckley, escludendo gli album live e i bootleg fioccati negli ultimi anni, l’ultimo compilation di canzoni «ritrovate», praticamente mai state ascoltate per vent’anni e riscoperte recentemente negli archivi Sony Music durante le ricerche per il 20esimo anniversario dell’album Grace.

Otto delle dieci tracce sono cover, registrate dal cantante negli studi della Columbia, prima di incidere Grace, con il probabile intento di indicare, ai futuri produttori, il suo sconfinato universo musicale, dal blues al funk fino all’hard rock, un’altra splendida e tragica eredità del padre Tim. L’unica canzone originale, Grace è semplicemente la versione spogliata della title-track dell’unico disco inciso in vita, non è nemmeno una canzone: Dream of You and I infatti non è che l’abbozzo di qualche accordo, il fantasma di un testo, qualcosa che purtroppo non concluderà mai, un piccolo gioco sadico forse, l’ennesimo rimpianto di quello che sarebbe potuto essere. Buckley è solo al microfono con la sua chitarra, parla agli ingegneri del suono, sussurra, commenta, dipinge a parole gli sconfinati orizzonti musicali della sua mente e la sensazione dell’ennesima operazione vampiresca, compiuta da familiari ed ex discografici, scivola presto con i primi accordi di Just Like a Woman di Bob Dylan: una fiamma nella voce, le corde dolenti, il pianto.

Sfilano così una serie di gemme preziose come I Know it’s Over e The Boy With the Thorn In His Side degli Smiths, Night Flight dei Led Zeppelin, Everyday People di Sly & The Family Stone, alcune di esse già sentite in qualche live. A fine ascolto, le canzoni di You and I non appaiono come meri esercizi di imitazione o giochini di interpunzione fra una registrazione e l’altra, ma come scintille abbaglianti in grado di rivelare le mille anime che abitavano in una sola voce, regalando l’illusione, per un istante, di sentire nuovamente il respiro, la vita.