Nel corso degli ultimi anni il separatismo del Caucaso russo ha cambiato molte volte pelle. Nella prima metà degli anni ’90 l’insurrezione fu confinata alla sola Cecenia e i ribelli erano ispirati prevalentemente dal nazionalismo, anche se ispirato all’Islam.
Il conflitto subito violento tra la piccola repubblica a maggioranza musulmana e Mosca, all’epoca guidata da Boris Eltsin, iniziò nel 1994 e si chiuse nel 1996.
Negli anni che seguirono si aprì una prima crepa profonda tra gli schieramenti dei ribelli. Una parte di loro continuò a essere fedele ai principi della prima ora, un’altra iniziò un po’ per convinzione e un po’ per opportunismo a spostarsi verso l’islamismo radicale. Questa corrente era guidata da Shamil Basayev.
Nel 1999, alla guida di un gruppo di qualche centinaia di militanti, Basayev entrò nel territorio del vicino territorio del Daghestan, con l’obiettivo dichiarato di allargare la rivolta cecena e saldare le componenti islamiste delle due repubbliche.
Quell’evento fu di netta rottura, sotto tutti gli aspetti, sia politici che militari. Sia perché segnò la ripresa del conflitto nel Caucaso, sia perché sancì la trasformazione genetica del separatismo. Da allora l’islamismo, con venature di jihadismo, ne è la colonna portante. Non solo. Non si tratta più soltanto di liberare la Cecenia dal gioco di Mosca, ma di arrivare all’indipendenza di tutto il Caucaso settentrionale.
Dopo la morte di Basayev, nel 2006, Dokka Umarov ha assunto la guida di questo movimento, imprimendo un’ulteriore trasformazione in senso integralista, con la proclamazione, nel 2007, dell’Emirato del Caucaso, terra virtuale composta dalle repubbliche caucasiche della Russia e dai soggetti federali del Krasnodar – qui si trova Sochi – e di Stavropol.
Lo scopo di Umarov è istituire una nazione governata sulla base della sharia.
La discontinuità tra Umarov e Basayev non riguarda i mezzi della lotta, che restano gli stessi. Da una parte ci sono gli atti di terrorismo contro la Russia, dall’altra la battaglia nel quadrante caucasico.
Il Daghestan, in questo momento, è la repubblica più instabile. Un posto senza più legge, dove la guerra non risparmia nessuno. Oltre a miliziani e militari, perdono la vita giornalisti, esponenti del clero moderato, politici.
La Cecenia appare invece parzialmente stabilizzata. Putin ha dato risorse e libertà di manovra al presidente Ramzan Kadyrov. La prime vengono dirottate sulla ricostruzione di Grozny e sulle grandi opere infrastrutturali.
La seconda viene usata senza troppi scrupoli nella repressione del dissenso, attività che – così accusa qualcuno – fuoriesce dai soli confini ceceni.
Negli ultimi tempi alcuni dei secessionisti della vecchia guardia che hanno scelto la via dell’esilio, contrari sia alle politiche di Kadyrov che alle derive radicali di Umarov, sono stati assassinati in circostanze misteriose.