Storia di un sogno che si tramuta realtà e allo stesso tempo romanzo di formazione immerso nel dramma dell’emigrazione, nella fattispecie quella degli italiani minatori in Belgio (c’è anche una breve citazione della tragedia di Marcinelle). È Marina – in Italia l’8 maggio distribuito in 30 copie – film di produzione italiana e regia belga dove sono coinvolte la Orisa Produzioni di Cristiano Bortone e le società belghe Les Films du Fleuve di Luc e Jean-Pierre Dardenne e Eyeworks film di Peter Bouckart.

È la biografia (con qualche elemento di fiction..) di Rocco Granata, figlio di emigranti italiani e talentuoso musicista fino al successo mondiale del suo hit Marina, 100 milioni di dischi venduti e la conquista della Carnegie Hall di New York. «Una sola canzone – spiega lo stesso cantante presente all’incontro di presentazione insieme al regista Stijn Conninx, Luigi Lo Cascio che interpreta il padre (assente giustificata Donatella Finocchiaro, la madre, al settimo mese di gravidanza…) e i due «giovani» Rocco: Matteo Simoni e il piccolo Cristian Campagna – che mi ha cambiato la vita. Un successo del genere deve uscire dal cuore, è impossibile che capiti due volte. In realtà ho scritto molti altri brani anche se, alla fine, si viene ricordati solo per uno. Del resto è successo anche per Modugno, di cui tutti – nonostante una produzione intensa – ricordano solo Volare». Il film in Belgio ha sbancato i botteghini, 500 mila spettatori, premiato con il Platina Award e entrato tra i 10 film fiamminghi più visti in tutti i tempi, in Italia era passato nella sezione Alice del Festival di Roma.

Ma Marina non è solo la storia di un’ambizione personale dal finale lieto, come spiega il regista: «È piuttosto una storia universale su temi come l’integrazione ma anche sui conflitti familiari. Oggi si parla degli extracomunitari come degli esseri alieni. Nel film ho voluto ricordare come solo pochi decenni fa in Belgio erano proprio gli italiani ad essere considerati extracomunitari, soggetti ad ogni tipo di discriminazioni ed angherie e tollerati solo in quanto forza lavoro a bassissimo costo. Anche se è ambientata nel 1950, in fondo è una vicenda realmente senza tempo».

Per Luigi Lo Cascio, il personaggio del padre di Rocco non è negativo: «È una figura forte, certo e che ha commesso l’errore di fraintendere il sogno del figlio. Spesso alcuni genitori tendono a frapporsi tra il sogno e l’immaginazione dei ragazzi pensando di decidere per loro. Il film è poi è un monito rivolto al nostro paese; scoprire un luogo dove gli italiani non avevano uguale accesso nelle scuole e i figli di minatori costretti a fare lo stesso mestiere del genitore, magari possono farci ripensare alla nostra capacità di accoglienza nei confronti degli extracomunitari….».