Il disco Let’s Eat Home (Concord Jazz, 1990) del pianista jazz Dave Fischberg si apre con il brano Brenda Starr. Un allegro motivo dallo swing fluente e sbarazzino che fa andare con la mente a un’epoca spensierata. Il pezzo è dedicato all’omonimo personaggio dei fumetti creato nel 1940 da Dale Messick (1906-2005). Le avventure della rossa reporter sono state disegnate sempre da fumettiste anche dopo che la sua creatrice passò la mano nel 1980. Questo fumetto, che ha ispirato ben due film e un lungometraggio televisivo, è tra i maggiori successi in un mondo editoriale che non ha certo incentivato la presenza femminile tra i suoi ranghi. Basti pensare che solo nel 1950 la National Cartoonist Society accettò di ammettere una donna, Hilda Terry autrice della popolarissima Teena, tra i propri membri. Non a caso sia Dale Messick che Tarpe Mills, mamma di Miss Fury, adottarono un nome d’arte dal genere ambiguo in modo da essere non immediatamente identificate come autrici in un settore come quello del fumetto d’avventura considerato appannaggio maschile.
Oggi la storia spesso negata o sottaciuta delle fumettiste è oggetto di una doverosa riscoperta merito di studiosi e ricercatori che ne hanno celebrato il lavoro. La mostra in corso a New York Drawn to Purpose: American Women Illustrators and Cartoonists con materiali della Library of Congress che vanno dalle prime pioniere alle autrici contemporanee ne è l’esempio.
Tra le altre la figura di Jackie Ormes ha una importanza capitale. Zelda Mavin Jackson nasce a Pittsburgh, Pennsylvania, nel 1911. Pubblica la sua prima storia a fumetti sul Pittsburgh Courier nel 1937, Torchy Brown in Dixie to Harlem, e si trasferisce con il marito Earl Ormes a Chicago cinque anni più tardi stimolata dalla sorella maggiore Delores che vi ha intrapreso la carriera di cantante. Nella metropoli il marito diventa manager prima del DuSable Hotel, uno degli aberghi aperto agli afroamericani in città, e poi del Sutherland Hotel. Questo le consentirà di stringere e consolidare amicizie con importanti figure della musica come il bandleader Billy Eckstine e la cantante Lena Horne, suoi concittadini in Pennsylvania, ma anche intellettuali, politici e scrittori. Jackie Ormes crea i personaggi di Candy e Patty-Jo’n’Ginger per The Chicago Defender e Torchy Brown per il Courier. Chicago sta vivendo un periodo di grande effervescenza culturale e la vita cittadina pullula di nightclub, incontri letterari, dibattiti politici. Jackie è sempre più coinvolta e attiva nelle iniziative a favore dell’uguaglianza razziale e sociale. Partecipa alle iniziative della sinistra e del Partito Comunista. L’Fbi apre un fascicolo su di lei che tra il 1948 e il 1958 assommerà a 287 pagine. Durante i numerosi interrogatori che gli agenti le faranno nel corso degli anni manterrà sempre la schiena diritta e pur non essendo mai stata iscritta al partito ne difenderà le politiche a favore degli afroamericani. Si schiera a sostegno di Oliver Hurrington, fumettista nero e comunista, costretto a fuggire in Europa dalla caccia alle streghe maccartista e per tutta la vita si impegnerà a favore delle campagne per i diritti civili e la pace raccogliendo fondi e organizzando iniziative fino alla morte nel 1985. In particolare la single panel Patty-Jo’n’Ginger sarà esplicitamente una vetrina per interventi sull’attualità. Dalla guerra di Corea agli scioperi, dal boicottaggio dei bus segregati a Montgomery alla famigerata Commissione contro le attività antiamericane saranno oggetto dei commenti della piccola Patty-Jo, una bambina che parla con la sicurezza e la sagacia di un adulto. Il personaggio diventerà nel 1947 la prima bambola afroamericana commercializzata e non è difficile vedere in lei la proiezione della figlia Jacqueline morta per un tumore al cervello a soli tre anni e mezzo.

FASCINO E ELEGANZA
I fumetti che la disegnatrice ha creato hanno sempre una forte impronta di attualità rafforzata da elementi autobiografici come ad esempio le sembianze delle sue eroine molto rassomiglianti all’autrice. Jackie Ormes ritrae il mondo domestico di Patty-Jo con particolare precisione negli oggetti e negli arredi, così come cura acconciature e abbigliamento. C’è tutto un gusto femminile per l’esibizione di eleganza, fascino e bellezza. Le tavole di Torchy in Heartbeats contengono anche magnifiche paper doll, figurine del personaggio da ritagliare con diversi abiti intercambiabili secondo una moda in uso nei comics già dagli anni Trenta. L’immagine della donna che qui è proposta è di rottura profonda con gli stereotipi del tempo che la volevano confinata al ruolo di fidanzatina senza qualità oppure di donna fatale. Con un anticipo di decenni Torchy affronta tematiche come la violenza sulle donne e la lotta all’inquinamento ambientale. Le donne di Jackie Ormes hanno un profilo più complesso, sono personaggi consapevoli della propria femminilità e padrone del proprio destino. Nei suoi fumetti il corpo e la moda sono vettori di affermazione della soggettività e campo di negoziazione politica.
Come sia stato possibile che in un periodo dove le convenzioni sociali erano sottosposte a rigido controllo sui media una fumettista afroamericana abbia potuto spingersi tanto avanti è spiegabile proprio con le particolari condizioni editoriali della segregazione. I fumetti della Ormes erano pubblicati su riviste rivolte ad un pubblico nero e a differenza dei colleghi bianchi non erano distribuite negli Usa dai potenti Syndicate ( solo Torchy in Heartbeats dallo Smith-Mann Syndicate) ma attraverso diverse edizioni locali delle testate giornalistiche. La libertà creativa era garantita dunque dall’indipendenza del rapporto free-lance. Inoltre i fumetti e in particolare quelli rivolti al pubblico di colore erano considerati innocui e pertanto ignorati; basti pensare che nei rapporti dell’Fbi non vengono mai citati a supporto delle idee di sinistra della Ormes quando avrebbero potuto fornire invece parecchie informazioni decisive.
Pur essendo amante della musica questa non compare frequentemente nei suoi fumetti. Però ci sono almeno la presenza del pianista Earl Lester in una storia di Torchy in Heartbeats e due single panel degni di nota. Il primo in una pubblicità commerciale per un prodotto per capelli dove si cita espressamente la canzone Open the Door, Richard!, brano portato al successo da Count Basie, e il secondo nel quale troviamo la cantante Billie Holiday la cui voce proviene da una radio.

METAFORE
Se tutta la sua opera è certamente importante è con la sua prima storia, creata a soli ventisei anni, che Jackie Ormes firma un piccolo capolavoro. Anche se il tratto è ancora incerto e la gestione dello spazio delle vignette mostri lacune evidenti che saranno brillantemente colmate in seguito i contenuti e i caratteri di Dixie to Harlem sono di eccezionale valore storico e artistico. L’ossatura della storia è costituita dalla metafora della Great Migration quando tra il 1910 e la fine degli anni Quaranta tre milioni di afroamericani si spostarono dal Sud, dove vivevano il novanta per centro dei neri, al Nord. Magistralmente raccontata dai pannelli del pittore Jacob Lawrence questa diaspora interna ha segnato profondamente la società e la cultura statunitense e in particolare la musica facendo diffondere e sviluppare blues e jazz anche se ancora oggi l’aneddotica della tanto celebrata chiusura del Quartiere delle Luci Rosse di New Orleans è un mito, romanticamente efficace ma storicamente inservibile, duro a morire.
La giovane Torchy Brown vive nel Sud con gli zii. La cugina Dinah Dazzle viene in visita da New York e racconta alla ragazza le meraviglie di Harlem, la Mecca Nera dove gli afroamericani hanno creato arte e spettacoli che stupiscono il mondo. Torchy parte alla volta della Città del Nord e dopo avventure e disavventure riesce finalmente a diventare ballerina del mitico Cotton Club e alla fine della storia incontra la madre che era misteriosamente scomparsa lasciandola sola.
Le strisce sono pubblicate dal 1 Maggio 1937 al 30 Aprile 1938. L’autrice si firma ancora come Zelda Jackson Ormes prima di assumere il nome di Jackie Ormes. I riferimenti autobiografici sono molti e aiutano a conferire credibilità e vividezza al racconto. L’ambiente del Sud è ritratto finalmente con realismo, pur nel generale clima umoristico, evitando le rappresentazioni degradanti imperanti nei media. Un ambiente campagnolo certo ma di sicuro non rozzo. Torchy si confronta con la segregazione quando prende il treno per il Nord e con la prostituzione alla quale una donna vuole avviarla appena arriva in città. Sembra incredibile ma è vero. Questi temi erano assolutamente tabù nella stampa dell’epoca eppure con leggerezza e un umorismo agrodolce Jackie Ormes li mostra nel fumetto. Così come un nudo, anche se parziale ma comunque abbastanza esplicito, praticamente inedito nei fumetti anteguerra. Una volta arrivata a Harlem Torchy incontra una vera e propria galleria degli eroi della cultura afroamericana: il ballerino e attore Bill Bojangles, il pugile Joe Louis e la cantante e ballerina Josephine Baker (della quale ha le fattezze la madre ritrovata). Mai prima d’ora in un fumetto erano stati rappresentati personaggi reali neri. Jackie Ormes ha l’intuizione di immettere dentro una narrazione di invenzione figure che permettono di esplicitare con orgoglio le potenzialità del suo popolo. E questo ben prima che altri comics raccontassero le vite dei personaggi celebri sfruttando l’enorme popolarità dei fumetti. Ancora più rivoluzionario è il personaggio protagonista. Indisciplinata, ribelle, eccessiva. Non ha deferenza delle norme e dovendo scegliere se ne va tranquillamente nel vagone riservato ai bianchi. Alla vista di Joe Louis si sbraccia e travolge gli uomini davanti a lei. Insomma una ragazza che non sa proprio stare al suo posto. Ottimista, volitiva, entusiasta. Torchy e Jackie sono una nuova generazione di afroamericani. Una generazione che ha deciso di prendersi i propri diritti. Che lotterà per essi con ogni mezzo e su ogni campo conquistando, al prezzo di enormi sofferenze, dignità e agibilità politica. Dixie to Harlem è uno straordinario racconto sulla cultura e la storia afroamericana.

MINICOMIC
Tra le autrici contemporanee più interessanti del fumetto underground c’è la giovane Hazel Newlevant. Nata a Portland e residente a New York la giovane fumettista si è fatta conoscere per le sue brevi opere, dapprima autoprodotte e stampate in minicomic e poi raccolte in volume, e successivamente per racconti di respiro più ampio. Narratrice di grande talento, questa fumettista tratta tematiche omosessuali, anche con aspetti autobiografici, con un deciso profilo politico e sociale, confermato anche dal volume Comics for Choice che ha curato e parla del diritto all’aborto minacciato dai fanatici religiosi e dalla marea nera trumpista.
La musica e la danza hanno un ruolo importante nelle sue storie. Tre di queste, pubblicate in un unico albo, hanno vinto il Prism Comics Queer Press Grant nel 2013. Dance the Blues racconta di una gara di ballo dove Carita balla con diversi uomini fino a trovarsi davvero bene solo con una donna. No It U Lover è basata sulla collaborazione tra le musiciste lesbiche Wendy Melvoin e Lisa Coleman con Prince nella sua band The Revolution dei primi anni Ottanta.
If This Be Sin ci riporta ancora più indietro nel tempo. La protagonista di questa storia insieme incredibile e dolorosa è la pianista e cantante Gladys Bentley. Nata nel 1907 a Filadelfia, ultima di quattro figli in una famiglia povera, è costretta a scappare di casa a sedici anni per liberarsi dell’atmosfera di violenza e intolleranza nei confronti delle manifestazioni della sua diversità. Arriva a New York e ottiene il posto di pianista nel club Harry Hansberry’s Clam House. In breve diventa la beniamina del locale frequentato da gay e lesbiche guadagnandosi la citazione nella celebre A Night-Club Map of Harlem di Elmer Simms Campbell accanto a Don Redman, Bill Bojangles e Cab Calloway. Vestita sempre in abiti maschili, adotta come mise di scena un tuxedo e cilindro bianchi, canta blues e canzoni popolari delle quali propone gustose e ammiccanti parodie. Il suo stile è erede della tradizione del vaudeville, il suo pianismo lo è dello stride-piano. Ha una voce profonda e grassa che lei arricchisce di effetto growl, falsetti, imitazioni di strumenti a fiato come si può ascoltare in Worried Blues, Wild Geese Blues e How Much Can I Stand del 1928. Non fa mistero della sua omosessualità. I suoi testi sono espliciti e non si preoccupa di corteggiare apertamente donne del pubblico. Compie tour e incide per etichette come Okeh e Victor, dilapida i guadagni in appartamenti, servitori e auto di lusso. All’Ubangi Club è accompagnata da un coro di travestiti. Si parla di un suo legame con una donna bianca. È il tempo del Rinascimento di Harlem e lei ne è una delle protagoniste, celebrata dagli scrittori Langston Hugues e Carl Van Vecthen. Alla fine degli anni Trenta però quella stagione va declinando e lei si trasferisce in California che di lì a breve, con lo scoppiare della Seconda Guerra Mondiale, vedrà spuntare come funghi locali gay stimolati dalla forte presenza di militari nelle basi che guardano al Pacifico.

MACCARTISMO
Terminato il conflitto comincia per gli Stati Uniti l’era del maccartismo. Gli spazi di libertà politica, sociale e anche sessuale si restringono. Il peso della pressione psicologica e la paura delle repressioni poliziesche sempre più frequenti a quel punto devono aver agito in modo drammatico su di lei. Nel 1952 pubblica sul settimanale popolare Ebony una confessione dal titolo I Am A Woman Again nella quale racconta la sua omosessualità come un «inferno simile alla dipendenza dalle droghe» e come, essendosi sottoposta ad una cura ormonale, sia ritornata donna. Il servizio è corredato da foto che la ritraggono in compagnia di uomini, vestita con abiti femminili intenta a fare il letto e lavare i piatti. Una abiura in piena regola della sua identità sessuale.
Qualche anno dopo annuncia il suo matrimonio ma il presunto marito in seguito negherà. In rete si può vedere la sua partecipazione allo show televisivo condotto da un attempato Groucho Marx. Morirà a 52 anni. Questa incredibile storia è raccontata dalla Newlevant in sole sedici tavole con una eccellente capacità di sintesi, riuscendo a toccare gli episodi biografici salienti fino alla malinconica apparizione televisiva. La fumettista è una delle migliori testimonianze di come il fumetto possa svolgere la funzione di illuminare pagine di storia sconosciute e possa così contribuire a riscriverla. Proprio grazie alla loro natura narrativa ed evocativa opere come queste consentono di penetrare nelle pieghe della complessa vicenda del Novecento e del ruolo che il jazz vi ha svolto come portatore e stimolatore di istanze di liberazione sociale ed esistenziale.