Quando nel 1983, all’età di sessantasei anni, Ieoh Ming Pei ricevette il premio Pritzker disse di considerare l’architettura un’«arte pragmatica» per come era «costruita su un fondamento di necessità», aggiungendo, però, citando Leonardo da Vinci, che «la forza nasce dal vincolo e muore in libertà». A questo concetto proprio del Movimento Moderno, al quale si sentiva idealmente di fare parte, volle rimanere fedele fino alla fine, avvenuta l’altro ieri nella sua casa di New York all’età di 102 anni.

C’È DA DIRE che nella sua lunga, prolifica e premiatissima carriera svolta negli Stati Uniti l’architettura di Pei ha vissuto diverse fasi legate in particolare alle vicende professionali del suo studio newyorkese e tutte comprese nell’ambito dell’International Style che nel dopoguerra divenne il linguaggio egemone dell’architettura nordamericana. Nel 1955, infatti, dopo un decennio circa trascorso all’interno di un’azienda immobiliare di Boston, la Webb & Knapp, Pei fondò lo studio I.M. Pei & Partners, trasformatasi nel 1989 in Pei Cobb Freed & Partners.
Nel corso degli anni, andò così a misurarsi nelle competizioni internazionali con le grandi società di ingegneria quali ad esempio Hellmuth, Obata & Kassabaum (Hok) o Skidmore, Owings & Merrill (Som). Negli States Pei vi si trasferisce, proveniente da Canton dove nacque nel 1917 da un’agiata famiglia di banchieri, nel 1935 per compiere gli studi universitari.

NATURALIZZATO nel 1954 Pei si distingue per mirare a un funzionalismo schiuso alla ricerca di volumi rigorosi (Edificio Est della National Gallery of Art a Washington, 1968-78), denotati di una austera monumentalità (Centro nazionale delle Ricerche Atmosferiche a Boulder, 1961-67); dal forte valore iconico (Bank of China Tower a Hong Kong, 1985-90) ma sempre sotto il controllo geometrico rigoroso (Museo Miho a Shigaraki, 1989-97). Con la ristrutturazione del Louvre, avviata all’inizio degli anni Ottanta e conclusasi con la piramide di vetro nella Corte Napoleonica (1999-2001), Pei eseguì forse la sua opera più conosciuta al mondo ma anche quella più discussa tra quelle volute da Mitterand, nell’ambito del programma parigino del Grands travaux. La fiducia totale che dall’astratta e libera combinazione geometrica delle superfici si giunga al migliore risultato è quella che si ripete anche nel monumentale museo di Doha, completato nel 2008.

Tuttavia, occorre rilevare che non l’appassionarono mai i linguaggi del Postmodernismo, restando in qualche modo fedele a una sua particolare concezione della modernità. Nel 2007, con il progetto vincitore per il Palazzo della Regione Lombardia, lo studio Pei Cobb Freed & P. realizza la torre che insieme ad altre disegna oggi lo skyline di Milano. Nella tarda età, quella che Otto Wagner attribuiva quale segno distintivo dei grandi architetti, Pei ci consegna il landmark della gentrificazione meghina.

È ORMAI LONTANA la lezione di Gropius di quando a Cambridge era studente al Mit e a Harvard, come ormai troppi decenni sono trascorsi dal lessico atemporale di Kahn, al quale guardò sempre con rispetto in una prima fase della sua carriera. Restò comunque sempre convinto che «un’architettura duratura doveva avere delle radici», quelle che in Cina dimostrò di avere disegnando insieme ai suoi due figli, Chien Chung e Li Chung, il Suzhou Museum, armoniosa e semplice come la sua casa dell’infanzia.