«Una buona notizia in questi difficili tempi di pandemia» è il commento di Arquimedes Torres, un artigiano che costruisce mobili in bejuco, una specie di vimine. Fino a venerdì scorso la sua era un’attività semiclandestina. Come parte di quella del suo vicino Ramiro, che coltiva e vende piante medicinali e ornamentali. In quella data il governo ha annunciato un sostanziale aumento dello spazio concesso ai Trabajadores por cuenta propria (Tpc), un eufemismo dietro il quale si maschera il lavoro privato. Un passo atteso: perché dalle 127 attività che erano permesse ai Tpc si passa a 2000 settori produttivi nei quali potranno operare i privati. Compresi Arquimedes e Ramiro.

PER LA MINISTRA del Lavoro Marta Elena Feitó la misura «favorirà lo sviluppo economico e sociale» dell’isola. Sviluppo e aumento di produttività, specie nel settore agricolo, sono alla base della politica del governo socialista per affrontare i devastanti effetti ( -11% del Pil lo scorso anno) prodotti dalla politica di strangolamento economico dell’isola adottata dall’ex presidente Trump e da un Covid-19 la cui seconda ondata sta colpendo duro a Cuba. I 617.000 lavoratori per conto proprio rappresentano il 13% della forza lavoro totale.

Ma se si prende come misura i lavoratori impiegati nel settore imprenditoriale (1.600.300 nel 2018), la proporzione sale al 38% dell’impiego che produce beni e servizi. Se con una limitazione drastica a 127 attività (e con altri ostacoli come la mancanza di un mercato all’ingrosso) il settore privato ha raggiunto tale risultato, si evince che non è per nulla marginale.

LA RIFORMA approvata dunque è potenzialmente il primo passo verso un’economia mista, nella quale assieme al settore statale operino, e con la stessa importanza strutturale, gli imprenditori privati e le cooperative. Restano escluse ai Tpc 124 attività , non ancora specificate dal governo. Ma che presumibilmente riguarderanno i settori «sensibili»: difesa, media, sanità e energia di base.

Cuba. @Ap

Pur essendo una misura economica, la decisione di aprire – o meno – al settore privato ha sempre avuto nella Cuba post rivoluzione castrista una valenza politica. Nel 2013, dopo che il sesto Congresso del Partito comunista cubano aveva dato via libera a una serie di riforme economico-sociali (i cosidetti Lineamenti) Raúl Castro aveva pubblicamente difeso la necessità di cambiare «la visione politica» che esisteva nei confronti dei Tcp, eliminando i pregiudizi nei confronti di imprenditori privati.

Dalla fine del secolo scorso, sia la questione degli investimenti esteri , sia il lavoro per proprio conto erano visti come «un male necessario» per affrontare la crisi economica. Un male mai digerito a fondo dall’ala ordodossa del Partito comunista, che vedeva nel Tcp una sorta di «cavallo di Troia del capitalismo».

Così si è proceduto con un movimento di va e vieni, secondo gli equilibri del vertice politico: con aperture, limitate successivamente da restrizioni e trabas (ostacoli) per contenere i privati nello scomodo ruolo di «compagni di strada».

LA DECISIONE di ampliare lo spazio concesso ai Tpc, e in modo così significativo, conferma che, se «si vuole avanzare verso il futuro» (Raúl Castro) il settore privato, come gli investimenti esteri, devono essere considerati «strategici» per lo sviluppo economico dell’isola, pur mantenendo come obiettivo un «socialismo prospero e sostenibile».

La nuova misura adottata dal governo va anche nella direzione tracciata dalla Tarea ordenamiento economico, entrata in vigore dal primo gennaio. La riforma prevede non solo l’eliminazione della doppia moneta circolante e il cambio fisso del Peso cubano col dollaro Usa (un dollaro per 24 pesos). Ma anche una progressiva autonomia delle imprese statali – che dovranno essere attive o chiudere- e un ruolo importante delle Provincie e dei Municipi.

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Saranno questi ultimi infatti a decidere sulla concessione di nuove licenze ai privati, dopo averne esaminato le proposte. Dalla abilità e intelligenza degli amministratori locali nel «facilitare» il processo di creazione di nuovi Tpc dipenderà in parte la prosperità dei loro territori – miglioramento degli ingressi economici delle famiglie, più impiego, miglioramento dei servizi ecc. Secondo l’economista Triana Condovì l’apertura al settore privato servirebbe anche a ridurre l’attuale tendenza all’emigrazione della forza lavoro di alta qualifica verso altri paesi che offrono migliori guadagni.

IL SUCCESSIVO passo del «nuovo modello economico socialista» , secondo l’economista Juan Valdés Paz, dovrebbe prevedere uno spazio giuridicamente definito per il settore privato: sostanzialmente una legge per le Micro e piccole imprese (Mpymes). La strategia di sviluppo dovrebbe adeguarsi a questa nuova struttura della proprietà, pur mantenendo il ruolo predominante della forma statale di produzione.