Il rapporto tra l’essere umano e la materia, organica e inorganica, ha caratterizzato la cinematografia di Tsukamoto Shin’ya che fin dalla metà degli anni ’80, crea un cinema radicale e politico rivelando una trasformazione profonda e ancora in atto tra uomo, città e tecnologia. Il regista giapponese, protagonista della Masterclass all’undicesima edizione del Ca’Foscari Short film festival, esplora attraverso la specificità del body horror e gli stilemi del cyberpunk il corpo e le sue metamorfosi per ridefinirlo all’interno di città fredde, scure e livide. Nella sua trentennale carriera la ricerca di Tsukamoto si sposta dalla città verso le profondità del corpo scoprendo le metamorfosi dell’anima: studia la carne, gli organi e i tessuti alla ricerca dello spirito custodito nella materia. Oggi difronte alla complessità del contemporaneo, dove la tecnologia si sostituisce al corpo e l’immagine alla materia, le opere di Tsukamoto Shin’ya sanno ancora abbracciare il presente e rilanciare momenti di riflessione sul passato e sul futuro.

Nella trilogia «Tetsuo» e ancora prima nel film «Le avventure del ragazzo elettrico» il corpo è esposto alla città in espansione, alla materia come il metallo che si anima ed entra nella carne che subisce la metamorfosi in maniera violenta. Oggi però questa integrazione nel corpo umano di componenti tecnologici-inorganici che lei ha anticipato visivamente nei suoi lavori, ha assunto un ruolo importante per la sopravvivenza stessa dell’uomo. Cosa pensa di questa necessità e dipendenza?
Una delle cose che ho mostrato nei film di Tetsuo, detto molto semplicemente, è la caotica fusione che si è verificata tra la tecnologia e la natura umana nella società contemporanea, in maniera molto più marcata che in passato, quando erano maggiormente separate. Si può dire che l’uomo e la tecnologia, e la stessa cosa vale per il rapporto con il metallo, abbiano instaurato sin dalla loro comparsa una sorta di «relazione amorosa». Ormai, se anche provassimo a non far progredire troppo la tecnologia per valorizzare maggiormente la natura umana, questo non sarebbe più possibile proprio in virtù di questa «relazione amorosa» che rende impossibile separarle. Per questo motivo è necessario costruire una buona relazione tra i due, tuttavia potrebbe capitare che la tecnologia prenda il sopravvento e la natura umana finisca per essere sopraffatta creando così una situazione che bisognerebbe evitare. Dato che ormai è impossibile fare a meno della tecnologia, in questi film ho provato a dire che è importante impegnarsi a realizzare un «buon matrimonio» tra la tecnologia e l’uomo, proprio come in una coppia sposata.

Contemporaneamente, sotto questa spinta ipertecnologica, il corpo sta perdendo consistenza si smaterializza per entrare in Internet e molte azioni avvengo in una dimensione traslata: incontrare qualcuno, acquistare prodotti, vedere un film. E del corpo abbiamo soprattutto immagini che sostituiscono la realtà come foto modificate e rieditate attraverso programmi, account o profili digitali con identità false, vite parallele in mondi digitali. Liberandoci del corpo e della materia, l’identità può veramente emergere o stiamo perdendo qualcosa d’importante?
Ritengo che questa sia una domanda molto importante. Non so se io sia la persona più adatta per rispondere, ma è vero che ora si può fare tutto senza fondamentalmente muovere il proprio corpo. Per questo, più che pensare che le persone stanno diventando più stupide come si sente dire di solito, ritengo che la questione riguardi molto di più le nostre capacità fisiche. Un tempo, in moltissimi casi per poter giungere a qualcosa bisognava fare degli sforzi fisici importanti, ora invece con i computer si possono ottenere le stesse cose senza alcuno sforzo pratico. Mi sembra che stiano scomparendo soprattutto le nostre abilità fisiche in quanto tali, è come se il nostro cervello si stia ingrandendo sempre di più mentre il corpo vada rimpicciolendosi. D’altro canto non penso che si debba rinunciare del tutto a cose come Internet, perché in determinate situazioni la tecnologia può aiutare molto di più dello sforzo fisico, inoltre sono molte le comodità che ci fornisce. Per questo, come accennavo prima, la cosa importante in questa «vita matrimoniale» tra l’uomo e la tecnologia è il modo in cui il primo trova la «giusta distanza» dalla seconda per non soccombere a essa, in fondo si può dire che sia un rapporto simile a quello che c’è tra gli esseri umani.

La memoria e il passato sono al centro delle sue ultime produzioni, «Nobi» e «Zan», non solo per il periodo storico in cui sono ambientate, ma anche perché rappresentano una riflessione sul tema della guerra: da un lato il conflitto dell’uomo con i suoi istinti più violenti (Nobi) e dall’altra la paura all’azione del giovane protagonista di Zan. Questa nuova ricerca è accompagnata da un cambiamento totale delle ambientazioni, dalle città postmoderne alla natura, così come l’uso del colore: brillante, accogliente e rassicurante contro un colore livido, scuro e freddo dei suoi primi film. Può dirmi qualcosa di più su questa nuova fase?
Lei ha davvero osservato bene i miei film e la ringrazio. In effetti il tema dei film che giravo quando avevo 30-40 anni riguardava il rapporto tra me in quanto individuo e la città che mi circondava e volevo dare l’impressione di una città che soffoca il corpo dell’uomo, per questo ho utilizzato immagini e colori freddi, come quelli del duro cemento. Dopo di ciò ho voluto esplorare quello che c’era oltre il cemento, in quanto anche i miei interessi con gli anni si sono spostati da me alle generazioni più giovani e quindi mi sono rivolto alla natura come simbolo del futuro, riflettendo sulle preoccupazioni che mi affliggevano riguardo al futuro dei giovani. In questo contesto la guerra è sicuramente il tema più spaventoso e in Giappone non abbiamo nulla di simile da 75 anni e anche a scuola la parte relativa alla seconda guerra mondiale viene piuttosto trascurata tanto che i ragazzi non sanno più nemmeno dove quella guerra si è svolta o chi coinvolgeva. Anche se io stesso non ho vissuto l’esperienza della guerra ho ascoltato molte storie dai sopravvissuti e le vorrei trasmettere, vorrei che questi ragazzi prendessero coscienza di che cosa sia una guerra e di quali cose terribili accadano quando se ne verifica una. Dato che sento che la guerra si sta avvicinando sempre di più e che ci troviamo in una situazione pericolosa ho girato questi film come una sorta di monito per le nuove generazioni. Per quanto riguarda i colori, poiché la guerra è un tema così spaventoso ho voluto usare come ambientazione qualcosa che non fosse spaventoso e mi sono concentrato sulle bellezze della natura. In questo modo volevo esprimere anche il contrasto che si crea tra questa natura bellissima e luminosa e le cose terribili che l’uomo compie al suo interno, così da far risuonare ancora più forte le domande su un’umanità che non fa altro che distruggersi a vicenda e distruggere la natura stessa.

In questo periodo è impegnato sui set nel ruolo di attore. Contemporaneamente sta lavorando alla scrittura di un nuovo film?
Da tre anni sto lavorando con tutto me stesso a un film di grandi dimensioni e dal tema complicato, ma non sta avanzando molto. Anche se non ne posso ancora parlare ci ho lavorato tutto questo tempo, tuttavia non so ancora cosa ne verrà fuori. Per questo sto pensando nel frattempo di iniziare i preparativi per un film più piccolo, indipendente.