L’esito delle elezioni tedesche è destinato ad incidere sulle nostre vicende politiche, ma anche sul dibattito sulla «crisi della democrazia». Ha iniziato Veltroni, con un’intervista al Corriere: «La crisi del sistema democratico aumenta il bisogno di chiarezza, di velocità. Il primo consiglio che darei alla sinistra italiana è favorire il più possibile la democrazia bipolare, la nettezza dell’identità, l’alternanza». Ora, se si può certo convenire sull’opportunità di avere un’identità «netta» (già, ma quale?), ciò che sorprende in queste parole è una pervicace coazione a ripetere, l’incapacità di prendere atto del vicolo cieco a cui hanno condotto nel nostro paese decenni di retorica sulla «cultura del maggioritario».
Ora che perfino per la Germania sembra prospettarsi un periodo di instabilità governativa, i nostalgici dell’Italicum tornano alla carica: il «proporzionale» è una iattura. Nelle tesi di quanti insistono in una ricetta «iper-maggioritarista» C’è al fondo una lettura riduttiva, ma anche illusoria, delle ragioni stesse di quella che viene correntemente definita come «crisi della democrazia». Ridotta all’osso, la domanda è: questa crisi, è una crisi di «governabilità» o è una crisi di «legittimazione»? Se si sceglie la prima risposta, si assume che la crisi nasca dall’inadeguatezza delle normali procedure di una democrazia parlamentare, e che si possa rispondere attraverso soluzioni plebiscitarie. Se si sceglie la seconda risposta, si pensa al contrario che la crisi nasce da un profondo deficit di consenso reale, dalle crescenti diseguaglianze economiche e sociali, dall’interrompersi dei canali della rappresentanza politica. L’alternativa è dunque netta: alle difficoltà di governo di società complesse davvero si pensa di poter rispondere attraverso meccanismi istituzionali di accentramento e verticalizzazione del potere; o, al contrario, ricostruendo una pluralità di forme e livelli di rappresentanza politica, di inclusione, provando a riattivare pazientemente modelli e pratiche di partecipazione diffusa e decentrata? Non c’è dubbio che la forma classica del governo parlamentare sia sottoposta oggi a tensioni, in molti paesi europei emergono difficoltà a esprimere governi stabili. Tuttavia, regole elettorali consolidate (non bricolage improvvisati, come l’ultima proposta qui da noi), stanno permettendo di registrare dinamiche politiche reali, e si rivelano come «sensori» degli smottamenti negli orientamenti politici.

Se da questi spostamenti deriva una difficoltà ad individuare una soluzione stabile di governo, – come accaduto e come può accadere – questo va visto semplicemente come il segno di un passaggio in corso da un assetto del sistema politico entrato in crisi ad un diverso assetto, ancora da costruire. E ci sarebbe anche da sorprendersi se non fosse così, se solo consideriamo il difficile passaggio che si trova ad affrontare l’Europa. In realtà, anche da queste elezioni emergono le virtù del sistema elettorale tedesco, per quanto spiacevole sia vedere oltre 90 deputati dell’AfD al Bundestag: la sua capacità cioè di registrare storicamente, in modo selettivo, l’emergere di reali fratture e di discontinuità nella cultura politica di quel paese. Un sistema elettorale, quello tedesco, che non affida alle deformazioni della rappresentanza, ma solo alla politica e a una paziente mediazione politica e programmatica, la possibilità di costruire gli equilibri di governo. E dal voto tedesco potrebbero emergere utili insegnamenti anche per noi, partendo da una esigenza primaria: ricostruire le condizioni di legittimità democratica del Parlamento, ricostituire una legittima e forte rappresentanza politica come premessa necessaria per una qualsivoglia effettiva governabilità. Per questo, la scelta di un sistema proporzionale – con una soglia al 4 o al 5%, non aggirabile – si presenta come la soluzione più saggia, ma anche, in fondo, come quella più realistica. Lungi dall’essere una sciagura, come pigramente molti osservatori continuano a sostenere, il ritorno al proporzionale può rappresentare il solo terreno su cui almeno provare a invertire un radicale processo di delegittimazione delle nostre istituzioni democratiche.