Alla presentazione del Rapporto Inps, il presidente Boeri ha affrontato i problemi della situazione sociale tra cui quelli connessi al ruolo economico degli immigrati, oggetto di molte valutazioni incongruenti.

In effetti, l’invecchiamento della popolazione italiana dovrebbe indurre a rapportarsi, se non altro, con più intelligenza ai movimenti migratori e, in particolare, alle loro connessioni con l’arretratezza del nostro sistema produttivo che ricerca la competitività puntando essenzialmente sulla compressione dei salari e una elevata presenza di attività «sommerse». Come è stato messo in evidenza nel Rapporto sullo stato sociale 2017 presentato recentemente alla Sapienza, Università di Roma, l’economia «in nero» non nasce dai flussi immigratori, ma in essi trova alimento, specialmente se si tratta di immigrazione irregolare; tra i due fenomeni si crea un circolo vizioso che favorisce condizioni di accoglienza anche indecenti, anomalie nelle politiche dei permessi di soggiorno e inefficacia degli apparati di controllo.

Questa situazione diventa parte integrante del complessivo mercato del lavoro. Il divario esistente tra la maggiore formazione dei nostri giovani e quella richiesta da una parte consistente del nostro sistema produttivo spiega la coesistenza tra l’elevata disoccupazione giovanile degli italiani, la crescente spinta alla loro emigrazione, specialmente dei più istruiti, e l’occupazione più o meno irregolare degli immigrati. Tra le due offerte di lavoro c’è poca o nulla concorrenza, ma la diffusa irregolarità dell’occupazione straniera si spinge fino al degrado delle condizioni di lavoro e finisce per inquinare l’intero sistema produttivo, sociale e civile. L’arretratezza del nostro sistema produttivo spiega anche come il nostro paese sia meta di migranti a bassissima specializzazione lavorativa, mentre quelli più formati si dirigono verso altri paesi o comunque lasciano il nostro che diventa per loro solo di passaggio (se gli altri paesi europei li accettano).

Il contributo degli immigrati alla formazione del nostro Pil è dell’8,6%, una quota che è circa pari alla loro incidenza sulla popolazione. Come ricorda Boeri, ai loro redditi corrispondono versamenti contributivi, a fronte dei quali sono poche le prestazioni ricevute, dunque danno un sostegno rilevante al nostro sistema di welfare pubblico; in particolare, mentre adesso contribuiscono significativamente al finanziamento delle pensioni versate agli italiani, poiché dovranno accumulare almeno venti anni di versamenti per ricevere una pensione, c’è da dubitare che ciò potrà accadere per molti di loro.

Un altro aspetto preoccupante della nostra situazione sociale è la maggiore povertà rispetto alla media europea. Essa si spiega in larga parte con le carenze del nostro sistema produttivo, ma anche con la tradizionale insufficienza dei nostri ammortizzatori sociali e delle misure di sostegno al reddito. Nel valutare l’opportunità dei sistemi di reddito minimo, spesso viene discusso se l’inclusione sociale debba essere affidata a una più efficace capacità di creare posti di lavoro, ritenendo che le prestazioni assistenziali abbiano un effetto diseducativo sugli individui con conseguenze negative sulla crescita economica. Viene anche sottolineato che i trasferimenti richiederebbero una preventiva creazione di ricchezza da distribuire cosicché, specialmente in momenti di crisi, si riafferma la priorità delle politiche per la crescita e l’occupazione rispetto a quelle sociali.

Il punto è che le crisi evidenziano proprio la difficoltà dei mercati, senza un’efficace interazione dell’intervento pubblico, di creare pieno impiego e un’equa distribuzione che eviti o riduca le situazioni di povertà. Le quali sono indubbiamente alimentate dalla disoccupazione, ma questa, generalmente, è una situazione subita non una scelta opportunistica. D’altra parte, gli schemi di reddito minimo sono calibrati anche per limitare la convenienza a non lavorare. Rimane il fatto che, nella media europea, i trasferimenti sociali riescono a ridurre dal 25,9% al 17,3% la quota delle persone sotto la soglia della povertà, ma mentre in paesi come quelli scandinavi si arriva a dimezzare la quota dei poveri, in altri come Grecia, Romania e Italia, i risultati sono trascurabili.

Il Rapporto Inps richiama l’insufficienza di misure come il Reddito d’inclusione appena introdotta, ma critica l’uso della Cassa integrazione guadagni. Tuttavia, nel nostro paese, proprio l’inadeguatezza di misure che garantiscano un reddito minimo e l’incapacità del sistema produttivo di generare occupazione stabile (il Jobs Act ha accentuato il problema) rendono necessari istituti come la Cig.