L’opera che per prima ha messo in difficoltà Expo 2015 costringendo il gigante a spegnere i motori delle ruspe nei cantieri è una di quelle al centro dell’inchiesta che ha portato in carcere la «cupola»: l’associazione a delinquere che secondo i magistrati milanesi ha pilotato parte degli appalti dell’Esposizione Universale. Tra gli arrestati c’è infatti anche Enrico Maltauro, 58 anni, amministratore delegato della Maltauro Spa e membro della banda dei furbetti di Expo.

A fermare le ruspe della Maltauro però non sono stati i sigilli della magistratura, bensì i cittadini scesi nei parchi a difendere quei preziosi polmoni verdi nell’ovest di Milano. Parchi che sentivano minacciati dal canale della Via d’Acqua, che nei suoi 12 km, dal sito espositivo alla Darsena di Milano, avrebbe attraversato quattro parchi spezzandone la continuità, abbattendo alberi e scavando su terreni inquinati. Un canale in cemento con un ingombro fino a 12 metri per portare dal sito espositivo alla Darsena di Milano e ad alcune zone del parco Sud 2 metri cubi di acqua al secondo. Una quantità modesta per un opera senza alcuna utilità pubblica evidente: serve infatti innanzitutto a portare fuori l’acqua dal sito di Expo, dove tra un padiglione e una piazza Italia troveranno spazio anche un laghetto artificiale (la Lake Arena) e un sistema di canali.

Raccontando la Via d’Acqua si racconta quello che possiamo definire come una sorta di «sistema Expo». Un sistema fatto di appalti al ribasso, rincari record, extra-costi, opere accessorie discutibili, controlli antimafia alleggeriti, poteri speciali. Se parlare di nuova tangentopoli è probabilmente ancora prematuro, mettendo in fila alcuni fatti si compone la geografia della spartizione made in Expo, una gestione degli appalti pubblici a maglie larghe dentro cui avrebbe sguazzato la «cupola» arrestata dalla magistratura.

Siamo a dicembre 2012, secondo i magistrati il regalo di Natale di Enrico Maltauro agli altri della cupola sarebbe stata una tangente di 50 mila euro. La prima di una serie. Maltauro avrebbe versato centinaia di migliaia di euro ottenendo in cambio informazioni utili a fargli vincere gli appalti. Ci sono le intercettazioni, da cui emerge «l’accordo con l’imprenditore» per il «versamento di 25mila euro mensili da febbraio-marzo 2013, oltre al primo pagamento di 50 mila euro previsto per Natale 2012».

I lavori per il tratto Sud della Via d’Acqua, dal sito espositivo alla Darsena, vengono aggiudicati a luglio 2013 e vince Maltauro con un ribasso del 23%. Base d’asta 54 milioni, lo sconto vale 14 milioni.

L’estate passa senza che alcuna ruspa si muova, poi ad ottobre arrivano le reti metalliche nei parchi, inizia la cantierizzazione dell’area tra parchi, rogge e fontanili, spesso a fianco proprio dei vecchi corsi d’acqua oggi prosciugati e inutilizzati. Con le reti arrivano anche le proteste dei cittadini, i comitati No Canal, No Via d’Acqua, Cambia Canale, il supporto della rete No Expo e del collettivo Off Topic.

Picchetti alle 7 di mattina davanti alle ruspe, fiaccolate, merende dentro l’area di cantiere nei parchi, smontaggio delle reti, due cortei con un migliaio di persone che si concludono con la posa di alcuni «spaventaruspe», fantocci piantati tra gli alberi per tenere lontane le ruspe quando i cittadini non sono nei parchi. Parallelamente la controinformazione sui terreni inquinati che la Via d’Acqua scoperchierà e le bonifiche a rischio: i poteri speciali del commissario unico Giuseppe Sala gli hanno permesso a novembre 2013 di declassare l’area in cui scorrerà la Via d’Acqua da area verde/residenziale quale è, ad area industriale. Un declassamento utile a bypassare le bonifiche dei terreni inquinati, come rilevato dai sondaggi nei terreni fatti da Mm e Maltauro.

Dicembre, gennaio e febbraio, in questi tre mesi i cantieri restano fermi e per Maltauro questo stop costerebbe 13 milioni, come rivela il subcommissario Expo Gianni Confalonieri in alcune interviste. A un futuro cda di Expo la scelta se concederli o meno, quello che è evidente è che si tratta proprio della cifra necessaria a raggiungere la base d’asta di partenza.

«Maltauro sta operando in modo discutibile per quanto riguarda la gestione ambientale delle sue attività», racconta in una intervista a Radio Popolare il presidente della commissione ambiente di zona 8 del comune di Milano, Enrico Fedrighini, «stiamo chiedendo da otto mesi i dati sulle analisi ambientali sui terreni dove sorge i campo base della Maltauro ma ad oggi non abbiamo ancora visto nulla».

Facendo un balzo indietro, il primo appalto importante di Expo è stato quello vinto dalla Cmc di Ravenna per la rimozione delle interferenze. Vittoria al massimo ribasso con una percentuale record del 42,83% sulla base d’asta. Cmc si è aggiudicata la gara con un’offerta di 58,5 milioni rispetto a un valore iniziale di 90 milioni. Su questo appalto indaga la Procura di Milano per turbativa d’asta. Il responsabile cantiere Expo della Cmc, Lorenzo Fiorentino, è indagato da dicembre 2013 insieme a Dario Comini, un funzionario di Mm, la società del comune di Milano che gestisce alcuni degli appalti dell’Esposizione per conto di Expo Spa.

In questo contesto, un anno dopo aver vinto l’appalto Cmc chiede 30 milioni di costi aggiuntivi, esattamente la cifra per risalire alla base d’asta di 90 milioni, recuperando tutto lo sconto promesso. Motivo del rincaro: nuovi lavori non previsti e un diverso smaltimento delle terre da bonificare. Viene da chiedersi perché non sia stata fatta una nuova gara pubblica per lavori giudicati nuovi e dall’importo considerevole di 30 milioni di euro.

Altro caso quello della Mantovani, il gruppo veneto di area Pdl il cui presidente, Piergiorgio Baita, è stato arrestato a febbraio 2013 per frode fiscale su alcuni lavori nel nord est. Un’azienda definita nelle carte di un’inchiesta bolognese sull’arresto del vicequestore Giovanni Preziosa un «gruppo economico criminale». La Mantovani ha vinto l’appalto più importante di Expo 2015, quello per la costruzione della piastra, la base in cemento su cui sorgeranno i padiglioni. Un appalto da 270 milioni vinto con un ribasso del 41%. E ora, secondo quanto scritto dall’Espresso, anche la Mantovani avrebbe chiesto decine di milioni di extra costi.

Tra lavori in ritardo, controlli della magistratura e obbligo di non fermare la macchina in corsa, il prossimo passo potrebbe essere dare ancora più poteri di deroga al commissario unico in linea con lo sciagurato «modello Bertolaso» di governo delle emergenze. Qualcosa di cui nessuno sente il bisogno.