Mercoledì pomeriggio un gruppo di migranti da poco arrivati in Italia, e trasferiti al centro di accoglienza di Pozzallo, si è rifiutato di sottoporsi alle procedure di fotosegnalamento (rilevamento delle impronte digitali, scatto di una foto e risposta a una breve intervista). Il motivo riguarda l’obbligo di presentare la domanda di protezione internazionale nel paese in cui il profugo rilascia le impronte digitali. Esse saranno poi trasmesse a una banca dati centrale all’interno del sistema Eurodac, come previsto Regolamento di Dublino III. Questo aspetto è un limite invalicabile al compimento del progetto migratorio da parte di chi fugge da paesi in stato di guerra, e tenta di raggiungere zone del mondo in cui rivendicare un diritto: quello all’asilo.

Nessuna legge è riuscita finora a fermare, ma anche solo limitare, gli sbarchi. Le emergenze umanitarie continuano e le persone sono costrette a fuggire. Ecco perché affrontano il mare in condizioni di pericolosità, senza badare se a bordo delle imbarcazioni si è in dieci, venti o cento, se ci sono i salvagente o acqua da bere a sufficienza. Senza sapere chi guiderà e senza sapere se, e dove, si arriverà. L’importante è tentare di evitare la morte in Siria, Eritrea, Etiopia, Sudan, Libia. E dopo aver rischiato così tanto bisogna provare a tutti i costi a portare a termine il viaggio, come desiderano fare i profughi giunti a Pozzallo che, proprio per questo, dichiarano di essere stati costretti al rilevamento delle impronte digitali.

Ma questa non è una vicenda isolata. La settimana scorsa persone di nazionalità siriana, tra cui 32 donne e 21 minori, sono sbarcate sulle coste calabresi vicino a Isola di Capo Rizzuto. Come prevedono le procedure ministeriali è avvenuto il trasferimento al centro di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati Sant’Anna, in cui avrebbe dovuto tenersi il fotosegnalamento, prassi alla quale dopo un primo rifiuto sono stati obbligati a sottoporsi ma solo dopo essere giunti in Questura.

Il metodo adottato è stato anticipato da un volantino multilingue in cui si avvertivano i migranti che sarebbero stati «identificati mediante l’acquisizione delle generalità ed il fotosegnalamento», e che lo stesso sarebbe stato effettuato «anche con l’uso della forza se necessario».

Insomma, nessuno poteva fuggire all’identificazione. A fine settembre, in seguito alle pressioni ricevute dall’Europa, il ministero dell’Interno aveva emanato una circolare rivolta ai prefetti e ai questori sollecitandoli ad «affrontare la situazione emergenziale con rinnovata cura nella attività di identificazione e di fotosegnalamento dei migranti».

Il tema dell’identificazione è stato uno dei punti all’ordine del giorno della riunione dei ministri degli affari interni dell’Unione europea lo scorso 10 ottobre, che si è concluso con l’invito rivolto agli Stati membri a rispettare le procedure Eurodac adottando, se necessario, misure restrittive per impedire reazioni di rifiuto da parte del migrante, sempre nel rispetto dei diritti umani fondamentali.

Ed è proprio questo l’aspetto più delicato della questione: come si deve comportare il funzionario di polizia se la persona da riconoscere si oppone a quella pratica? Il regolamento Eurodac prevede che si proceda «tempestivamente al rilevamento delle impronte digitali di tutte le dita … in conformità delle salvaguardie previste dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dalla convenzione Onu sui diritti del fanciullo», escludendo evidentemente l’uso della forza.

Del resto, la prassi prevede l’imposizione dell’identificazione solo in seguito all’autorizzazione da parte di un giudice. Ma qui sorge un’altra domanda: nel caso delle migliaia di profughi sbarcati sulle coste italiane, come può un giudice approvare tutte quelle ordinanze in tempi così stretti?
È chiaro che ci si trova davanti a una situazione complessa, delicata e quasi ingestibile. Ma proprio per questo bisogna focalizzare l’attenzione su un dato imprescindibile: quante delle persone sbarcate una volta poste di fronte alla scelta Italia e resto d’Europa, hanno optato per la seconda possibilità? Finora si tratta della maggior parte.

E ciò dimostra che il nostro, per i migranti, è un paese di transito. Allora non resta che prendere atto di questo e ritornare a insistere su quei dispositivi europei, come il sistema comune di asilo, che renderebbero la vita più facile non solo ai migranti ma anche agli stati che li accolgono.