Qualche anno fa Benyamin Netanyahu parlò all’Assemblea Generale dell’Onu mostrando il disegno di una bomba con la miccia accesa, simile a quella dei cartoni animati, per accusare l’Iran di essere sul punto di assemblare un ordigno atomico. Due giorni fa alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco il premier israeliano stringeva tra le mani un pezzo del presunto drone iraniano, decollato dalla Siria e abbattuto una decina di giorni fa da Israele. «Signor Zarif, lo riconosce? Questo è il vostro», ironizzava domenica Netanyahu rivolto al ministro degli esteri iraniano Mohammad Javad Zarif. Pronta la replica. Il premier israeliano è un «fumettista da circo», uno che usa i cartoni animati «per giustificare errori strategici o forse per evitare la crisi interna», ha commentato il capo della diplomazia di Tehran. Ma il siparietto offerto da Zarif e Netanyahu a Monaco se da un lato ha fatto felici le tv di tutto il mondo, dall’altro non è stato una farsa. Gli avvertimenti che l’hanno accompagnato, lanciati da una tribuna come quella della Conferenza sulla Sicurezza, fanno capire quanto si sia avvicinata la resa dei conti tra Tel Aviv e Tehran di cui si parla da anni. E a confermarlo è stato ieri il generale Nizan Alon, capo delle operazioni delle forze armate israeliane.

«Nel 2018 c’è il potenziale per una escalation, non necessariamente perché una delle parti voglia dare il via, ma a causa del graduale deterioramento della situazione», ha avvertito Alon parlando ieri ai microfoni della radio dell’esercito, Galei Tzahal. Israele non accetta – il generale è stato fin troppo esplicito – che, contro le previsioni e, soprattutto, gli auspici dell’establishment politico e militare dello Stato ebraico, il presidente siriano Bashar Assad sia stato in grado di capovolgere la situazione critica in cui si trovava nel 2012-13 e sia emerso vincitore da quasi tutte le battaglie che hanno insanguinato (e ancora insanguinano) le strade e le città del suo Paese. Vittorie ottenute grazie anche all’aiuto giunto dall’aviazione russa nonché dall’Iran e dal movimento sciita libanese Hezbollah. Parti non hanno alcuna intenzione di lasciare presto la Siria, come vorrebbe il governo Netanyahu.

Alon ha indicato una nuova guerra con Hezbollah come lo scenario più probabile, capace di allargarsi su vari fronti. «La guerra con gli Hezbollah potrebbe coinvolgere altri attori che dovremo combattere», ha detto in evidente riferimento al movimento islamico Hamas che Israele descrive come una estensione dell’Iran nella Striscia di Gaza. «Se la prossima guerra scoppierà sarà molto dura per i nostri avversari. Non penso che nessun cittadino israeliano vorrà scambiare il posto con un libanese», ha aggiunto lasciando capire che il Paese dei Cedri subirà l’urto di un attacco distruttivo di Israele. Non andrà meglio agli abitanti di Gaza che quasi quattro anni dopo l’offensiva “Margine Protettivo” hanno capito che presto dovranno fare i conti con un nuovo ampio attacco, almeno a giudicare dalla crescente durezza dei raid aerei israeliani seguiti (ma non sempre) ai lanci (sporadici) di razzi dalla Striscia. E il movimento islamico è pronto al nuovo round. «Hamas non vuole una escalation con Israele. Tuttavia la resistenza palestinese, assistita dal diritto internazionale, è pronta a rispondere ad ogni aggressione israeliana», ha avvertito Mahmud Zahar, l’ex ministro degli esteri del movimento islamista.

Se le performance pubbliche di Benyamin Netanyahu e gli scontri tra l’aviazione israeliana e la contraerea siriana occupano le pagine dei media internazionali, dietro le quinte il quadro è in continuo mutamento. Israele è molto attivo sul terreno scriveva ieri il quotidiano di Tel Aviv Haaretz, riferendo che il governo Netanyahu sostiene in Siria almeno sette gruppi ribelli sunniti, ai quali invia armi, munizioni e denaro. Amos Harel, esperto di Haaretz per le questioni militari, ha spiegato che l’aiuto alle forze ribelli rappresenta una nuova strategia per impedire che l’esercito governativo siriano, e i suoi alleati iraniani e libanesi, riprendano il controllo del territorio nazionale a ridosso delle Alture del Golan occupate da Israele. Alcuni dei gruppi jihadisti sunniti hanno riferito alla analista Elizabeth Tsurkov, citata da Haaretz, che gli israeliani li hanno aiutati lanciando attacchi con droni e missili anti tank, fornendo armi, aiuti umanitari e anche fondi per acquistarle.