Si fatica a comprendere le ragioni per cui la maggior parte dei media italiani ha accolto con entusiasmo l’Instrumentum laboris (la “traccia di lavoro”) per la fase finale del Sinodo dei vescovi sulla famiglia, in programma ad ottobre, presentato martedì in Vaticano. «Il Sinodo apre a gay, risposati e conviventi», «Le aperture chieste dal Papa sui fedeli risposati e i gay nel testo che prepara il Sinodo», « Comunione ai divorziati e accoglienza dei gay, il Sinodo prepara la rivoluzione di ottobre», titolavano ieri i principali quotidiani (laici).

Ma tranne il nodo dei divorziati risposati, su cui il dibattito è realmente aperto, sul resto, a cominciare dalle coppie omosessuali, la chiusura appare netta. L’unica spiegazione di una accoglienza così favorevole del documento è da rintracciare allora nell’esaltazione aprioristica di papa Francesco, a cui quasi tutti i media si sono allineati, talvolta facendo dire o fare al papa anche quello che il papa non dice o non fa. Senza con questo voler negare la nuova aria che circola nella Chiesa cattolica dal 13 marzo 2013.

Tuttavia, in questo caso, gli applausi a scena aperta sembrano fuori luogo. Sia perché papa Francesco non c’entra nulla con l’Instrumentum laboris, redatto dalla Segreteria generale del Sinodo sulla base dei risultati della discussione della prima assemblea di ottobre 2014 e delle risposte dei cattolici di tutto il mondo ad un questionario sulla famiglia (ma, si dice: il papa ha contribuito indirettamente, chiedendo queste innovazioni). Sia perché, leggendo il documento, aperture proprio non se ne vedono.

L’analisi conferma che fra magistero e credenti le distanze sono enormi. «Solo una minoranza vive, sostiene e propone l’insegnamento della Chiesa cattolica sul matrimonio e la famiglia», si legge nell’Instrumentum. «I matrimoni, religiosi e non, diminuiscono», separazioni e divorzi sono «in crescita», la «società dei consumi ha separato sessualità e procreazione».

Le cause? La «esasperata cultura individualistica del possesso e del godimento»; un certo «femminismo che ritiene la maternità un pretesto per lo sfruttamento della donna e un ostacolo alla sua piena realizzazione»; «le teorie secondo le quali l’identità personale e l’intimità affettiva devono affermarsi in una dimensione radicalmente svincolata dalla diversità biologica fra maschio e femmina» (la cosiddetta «teoria del gender»); i tentativi di riconoscere ad «una coppia istituita indipendentemente dalla differenza sessuale la stessa titolarità della relazione matrimoniale» (i matrimoni gay); ma anche guerre, migrazioni, «politiche economiche sconsiderate», politiche sociali poco attente alla famiglia, la crisi economica che genera «salari insufficienti, disoccupazione, insicurezza economica, mancanza di un lavoro dignitoso e di sicurezza sul posto di lavoro, traffico di persone e schiavitù».

La famiglia, afferma il documento, resta «il pilastro fondamentale e irrinunciabile del vivere sociale», e come tale va annunciata dalla Chiesa cattolica: matrimonio «naturale» fra un uomo e una donna, «indissolubile» e «procreativo».
Si dice di voler partire «dalle situazioni concrete delle famiglie di oggi», ma l’impressione è che tutto, o quasi, vada ricondotto al magistero. Convivenze e matrimoni civili vanno orientati verso il matrimonio religioso.

Ogni persona, «indipendentemente dalla propria tendenza sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con sensibilità e delicatezza»; ma ci sono solo i singoli, le coppie omosessuali non esistono, anche perché, dice il Catechismo, gli atti omosessuali sono «gravi depravazioni», «intrinsecamente disordinati» e «contrari alla legge naturale». E infatti niente figli per coppie gay e single (l’adozione e l’educazione di un figlio «deve basarsi sulla differenza sessuale, così come la procreazione»). Confermata, ovviamente, la condanna per aborto (si sostiene con forza l’obiezione di coscienza), eutanasia («evitando l’accanimento terapeutico) e testamento biologico.

Sulla contraccezione il documento è ambiguo. Ribadita «la ricchezza di sapienza» dell’Humanae Vitae» (l’enciclica di Paolo VI che condanna la contraccezione), ma c’è un richiamo al «ruolo della coscienza» – quando «la norma morale viene avvertita come un peso insopportabile» – che apre la strada ad interpretazioni diverse. Poi la situazione dei divorziati risposati e l’accesso ai sacramenti, da cui sono esclusi. La via maestra è lo «snellimento delle procedure» per l’annullamento (una soluzione che consentirebbe di aprire le porte salvando la dottrina), ma si legge anche che «vanno ripensate le forme di esclusione attualmente praticate» e «si propone di riflettere sull’opportunità di farle cadere», tenendo presente il principio di «gradualità».

Ad ottobre i vescovi discuteranno, poi il papa deciderà, perché i Sinodi sono organi solo consultivi. E si capirà dovrà andrà davvero la Chiesa di Francesco.