Dopo la condanna in primo grado per abuso d’ufficio (un anno e tre mesi per aver intenzionalmente acquisito i tabulati telefonici di Prodi, Mastella e altri sei parlamentari coinvolti nell’inchiesta Why not? senza l’autorizzazione delle camere) e la conseguente sospensione da primo cittadino di Napoli in base alla legge Severino, molti (anche questo giornale) hanno indicato a Luigi De Magistris la strada delle dimissioni come la via d’uscita più limpida. Lui ha risposto che non ci pensa nemmeno.

De Magistris, fino a quando vuole continuare con le riunioni di giunta al ristorante e la storia del sindaco sospeso?

Io andrò avanti fino alla fine del mio mandato, maggio 2016. Nella speranza che questa sospensione possa finire al più presto, anzi nella convinzione perché so che avrà un termine breve. Ma intanto la giunta è nel pieno delle sue funzioni e il sindaco è più motivato che mai e convinto di non dimettersi perché condannato semplicemente per aver fatto il suo dovere. È un momento di difficoltà ma ne ho passati tanti e so affrontarli.

Dice che la sospensione durerà poco perché fa affidamento nella prescrizione del reato?

No, dico che durerà poco perché abbiamo presentato dei ricorsi sulla sospensione che confidiamo possano essere accolti (il Tar dovrebbe esaminarli tra una settimana, ndr). Il processo è sostanzialmente in via di prescrizione e la vicenda è così lesiva dei miei diritti costituzionali che sono certo che la Corte d’Appello fisserà al più presto il processo. Ecco perché dico che la sospensione non durerà molto.

Ma i tempi del secondo grado sono lunghi e lei non ha ancora presentato appello. L’unica via per far cadere la sospensione sembra davvero la prescrizione.

Abbiamo 30 giorni per presentare ricorso e lo faremo. Ripeto che non intendo avvalermi della prescrizione: voglio essere assolto nel merito. L’appello sarà un processo cartaceo, senza istruttoria dibattimentale: si può chiudere velocemente. Sulla base degli elementi raccolti giudicherà un nuovo collegio, e per quanto mi riguarda non potrà che evincere la mia estraneità ai fatti.

Resta il fatto che oggi chi prende le decisioni è un vicesindaco che non si è presentato alle elezioni, non scelto dagli elettori. Non lo considera un danno per la città?

Politicamente la città ha un unico sindaco che è quello eletto, De Magistris. Poi c’è un sindaco facente funzioni che guida la giunta da un punto di vista amministrativo. Stanno cercando di fare il massimo nella linea politica che è stata data sin dall’inizio. Quindi c’è continuità a palazzo San Giacomo e in più in questo momento c’è la mia azione politica sul territorio. È paradossale, ma questa vicenda può consolidarci: ho la possibilità di stare ancora più a contatto con i cittadini.

Questo suo insistere sul fatto di essere ancora il sindaco è una sfida al prefetto che l’ha sospesa?

No, io rispetto formalmente le istituzioni. L’atto di disobbedienza sarebbe se mi mettessi a firmare delle carte o a rappresentare istituzionalmente l’ente nelle varie cerimonie e incontri. Invece formalmente il comune sarà rappresentato dal vice sindaco o dagli assessori delegati. Ma io sono il sindaco eletto e tale resto: non c’è una destituzione, non a caso la legge parla di sospensione.

La Severino è certo criticabile (soprattutto per quanto riguarda il caso dei sindaci) ma è una legge già applicata a decine di altri sindaci, che l’hanno rispettata.

E perché, io cosa sto facendo? Sono sospeso, mica mi sono attaccato alla poltrona. Anzi nel mio caso la legge Severino è stata applicata al massimo della velocità, in sette giorni, notificata dalla Digos alle 21.30 al presidente del Consiglio comunale che si trovava in pigiama. Tutto possiamo dire tranne che non rispetti la legge.

Ha ripensato alle sue prime dichiarazioni, per esempio quando ha detto che non lei, ma i giudici dovevano dimettersi?

Ci ho ripensato, ma per rispondere devo fare una premessa. Per tutte le ingiustizie che ho subito in 20 anni di servizio allo stato i miei toni non sono troppo forti. Mi rendo conto però che chi mi ha sentito pronunciare certe frasi abbia avuto un sussulto e voglio spiegarmi. Le dimissioni sono un gesto che ha a che fare con l’etica, con un problema che uno sente dentro. Siccome io giudico gravissima da ogni punto di vista la sentenza che mi condanna, è chiaro che non ho quelle sensazioni. Per questo ho detto, in modo provocatorio, che non sono certo io che devo dimettermi. Non lo rinnego, ma è un giudizio legato al primo momento.

C’è un altro punto però. La sua sospensione apre lo spazio a manovre di pura sopravvivenza in comune. Il consiglio è dominato dai trasformismi e lei ha dovuto fare affidamento a uno o due voti di consiglieri eletti all’opposizione. Il Pd spesso si volta dall’altra parte, ma della spinta iniziale è rimasto solo il ricordo. Perché portare avanti un mandato che non ha il passo della «rivoluzione» ma quello del tiriamo a campare?

Non sono d’accordo che la nostra azione amministrativa, il cambiamento, la rivoluzione, al netto delle difficoltà che non mi sfuggono, si siano impantanati. Al contrario stanno andando avanti. Non c’è dubbio che il Consiglio comunale numericamente non abbia la maggioranza della prima ora, ma politicamente ci siamo dimostrati granitici. Anzi, in queste ore di difficoltà pensiamo che la maggioranza possa allargarsi. Se guardassi solo alla mia posizione personale potrei dire: andiamo a votare. Perché in città avverto un affetto personale e politico assai forte. Ma devo fare gli interessi di Napoli, che abbiamo tolto dal rischio fallimento con l’approvazione del piano di riequilibrio e per la prima volta ha risorse da spendere. Vogliamo portare avanti la nostra esperienza, atipica anche rispetto a sindaci come Doria e Pisapia che che considero amici e vicini.

In che consiste l’atipicità?

Napoli è andata in controtendenza rispetto alle svendite e alle privatizzazioni, ha avuto il coraggio di attuare il referendum sull’acqua pubblica e dire no alle discariche e agli inceneritori, dialogare con i centri sociali e i movimenti, essere forte sui diritti con la cittadinanza onoraria ai figli degli immigrati, il registro delle unioni civili, il testamento biologico, la trascrizione dei matrimoni tra le persone dello stesso sesso. Con tutti i limiti ed errori è un’esperienza democratica e antifascista che merita di arrivare alla sua conclusione fisiologica, poi vediamo.

Che fa, non si ricandida più?

Sono molto provato fisicamente e psicologicamente da questa esperienza durissima. Ma se dovessi decidere oggi, francamente nel 2016 vorrei sottopormi ancora al giudizio degli elettori. Anche perché sono stato giudicato tanto e da tanti, anche con questa vicenda della richiesta di dimissioni, e ho il diritto e forse anche il dovere di ricandidarmi e far decidere ai napoletani.

Con quali alleanze? Il suo ex partito, l’Idv, è svaporato, la sua lista personale si è dissolta. In passato ha detto anche di non escludere alleanze con il Pd. Possibile?

Un sindaco deve dialogare e tenere sempre aperta la porta, io l’ho fatto con tutti, con il presidente della Regione e con quattro governi diversi. Anche con il Pd. Ma sinceramente non ho mai pensato che fosse possibile un’alleanza politica con il Pd, non ci sono le condizioni. Piuttosto vedrei la riproposizione di un’alleanza civica, magari con candidature politicamente più attrezzate e meglio radicate sul territorio. E poi in queste settimane si stanno muovendo cose interessanti a sinistra e si può sperare che già alle regionali dell’anno prossimo possa nascere qualcosa di unitario.

Dopo le elezioni politiche aveva fatto autocritica a proposito del suo “arroccamento”.

La lista Ingroia è stata un errore, ha prodotto un danno alla mia città dove c’è stata l’impressione che mi potessi distrarre con sirene nazionali. Non la rifarei, ma è un’autocritica che mi sono già fatto.

Provo a chiedergliene un’altra sulle aperture di credito che faceva a Renzi fino a poco fa. Aveva detto che se fosse stato un elettore delle primarie avrebbe votato per lui. E che lo giudicava «concreto».

Non ho mai detto che avrei votato per lui. Ma è vero che gli avevo fatto delle aperture, innanzitutto perché era un sindaco alla guida del paese. Inizialmente aveva adottato un verbo della concretezza, della semplificazione, del fare, che piace a un amministratore. Non ero prevenuto, per quanto le posizioni di Renzi fossero distanti dalle mie. Ma per quello che ha fatto da Ferragosto in poi devo esprimere un giudizio severo, molto duro sulla vicenda del decreto Sblocca Italia per Bagnoli. Renzi il 14 agosto ha firmato un atto con il comune e la regione in cui si impegna a darci i soldi per le bonifiche e a ricostruire Bagnoli insieme. Poi senza dire nulla a distanza di dieci giorni con lo Sblocca Italia espropria il comune, ci affida al commissario e fa rientrare dalla finestra Fintecna e Caltagirone ai quali noi con, un’ordinanza coraggiosa, avevamo ordinato di risarcire il territorio. E invece Renzi dà mani libere ai privati e ai costruttori.

Eppure proprio la sua giunta era pronta a cambiare il piano regolatore per far svolgere a Bagnoli l’America’s cup. E a proposito del rapporto con i privati, ha letto le intercettazioni del suo capo di gabinetto, Auricchio, al telefono con il presidente degli industriali Graziano proprio per l’organizzazione delle gare di vela?

Non abbiamo mai pensato di modificare il piano regolatore per la Coppa America. Pensavamo che fosse un’opportunità per il mondo e per Bagnoli fare le gare in quella che viene considerata una periferia degradata. Rivendico di aver portato la Coppa America a Napoli perché, dopo l’emergenza rifiuti, l’immagine della città era ai livelli minimi. E se oggi Napoli registra il più alto tasso di crescita del turismo in Italia è anche merito di questi eventi speciali, di cui oggi non abbiamo più bisogno perché ce ne sono ogni giorno. Il comune non ha un euro e non può demonizzare il contributo dei privati. La nostra giunta è contro la privatizzazione e la svendita della città e non contro i privati che vogliono investire. Se poi qualcun altro nel caso della Coppa America ha fatto qualcos’altro, ricordo che nei procedimenti penali la responsabilità è personale. Io ho agito correttamente, come sindaco l’unica cosa che ho fatto e firmare la candidatura di Napoli. E lo rifarei.