Se Genova affoga nell’acqua e nel fango il suo sindaco è chiamato a spiegare cosa avrebbe potuto fare e non ha fatto. Tocca innanzitutto a lui. E Marco Doria non si è tirato indietro. Ha ammesso di non essersi assunto la responsabilità di iniziare i lavori di messa in sicurezza dei punti critici della città, nonostante il contenzioso, tra alcune imprese e il Tar, che esponeva il Comune al rischio di pagare salate penali.

Ma è altrettanto doveroso ascoltarlo quando dice che «l’inizio» di quelle opere non avrebbe potuto evitare alla città lo choc di finire di nuovo sott’acqua se è vero che sulla carta c’erano 35 milioni mentre il sindaco spiega che per le necessarie opere di ingegneria idraulica ne servirebbero non meno di cento. Oltretutto il commissario governativo Claudio Burlando (ex sindaco, attuale governatore regionale), incaricato di sovraintendere a queste opere, proprio all’indomani dell’insediamento del nuovo governo, scrisse una lettera indirizzata «Al Signor Presidente del Consiglio, Matteo Renzi», e «Al Signor Sottosegretario Graziano Del Rio». Una richiesta a palazzo Chigi di adoperarsi per Genova. Una lettera rimasta senza risposta.

E il governo cosa fa? Quello che ci dicono tutti i telegiornali: si arrabbia moltissimo contro la burocrazia che gli lega le mani impedendogli di sbloccare l’Italia, e promette solennemente di voler stanziare la somma di due miliardi. Due mezze verità per un affondo propagandistico. Il telespettatore capisce che i due miliardi (ipotetici, s’intende) sono per Genova mentre si tratta di una somma destinata a risolvere il dissesto idrogeologico di tutto il paese. Oltretutto, secondo alcuni tra i più stimati urbanisti e sovraintendenti, proprio lo Sblocca-Italia andrebbe ribattezzato Rottama-Italia come l’ultimo atto dettato dalle lobby delle Grandi Opere. Una deregulation già operante e all’origine degli infiniti contenziosi avendo cancellato le regole per gli appalti, offrendo così a qualunque impresa appaltatrice il facile appiglio per sollevare problemi giuridico-amministrativi.

Il sindaco Doria diventa un capro espiatorio perfetto. Del governo che non ha aiutato Genova, delle difficoltà che, in modo diverso, coinvolgono altri sindaci “arancioni” come de Magistris e Pisapia, avvolti nel fascio unico del fallimento. Dovrebbero dimettersi tutti, ha scritto sull’Huffington post, Lucia Annunziata. Ma de Magistris non è stato allontanato da palazzo San Giacomo per la cattiva gestione politica di Napoli, e su Pisapia non si può scaricare il malaffare dell’Expo.

Alla fine Doria, uomo di sinistra, onesto, poco incline a imbracciare una pala a favore di telecamera, refrattario alla commedia mediatica, non è nemmeno salito sul carro del vincitore.