Abbiamo incontrato il sindaco di Tripoli Mahdi al-Harati, in visita in Italia per una missione “economica. Con lui abbiamo discusso dei colloqui di pace tra fazioni libiche e della bozza di accordo, diffusa nelle scorse ore da alcuni dei componenti del tavolo negoziale, che assegnerebbe la sede del nuovo parlamento a Tobruk. Il Congresso nazionale generale di Tripoli ha respinto all’unanimità la bozza, mediata dal diplomatico delle Nazioni unite Bernardino Léon, definita deludente e divisiva.

Al-Harati ha partecipato ai colloqui di pace di Ginevra, Rabat e Marrakesh, durante gli scontri del 2011 è rimasto ferito da una scheggia che lo ha colpito alle gambe. Alle elezioni amministrative è diventato sindaco di Tripoli con oltre il 68% dei voti. Nonostante la sua vicinanza alla Fratellanza musulmana libica, al-Harati si propone come uno dei principali sostenitori del dialogo tra fazioni. Il politico guida il movimento dei sindaci libici che ha partecipato anche a varie riunioni interministeriali a Bruxelles e potrebbe avere un ruolo importante nel futuro governo di unità nazionale.

Cosa pensa di questa bozza di accordo?

Questo testo ha creato un mare di problemi. Ovviamente non si tratta di una versione finale dell’accordo né è stato firmato dai parlamentari di Tripoli. Il problema non è la sede del parlamento ma sono i contenuti del testo. Il punto più controverso è la definizione che viene data di «ribelli». Secondo questa bozza sarebbero tutti «terroristi». Questo ovviamente ostacolerebbe la pace e il prosieguo dei negoziati. L’altro punto controverso riguarda l’estensione di due anni della durata del parlamento di Tobruk (uscito da un voto largamente boicottato dai libici lo scorso maggio, ndr): anche questo creerebbe gravi ostacoli alla pace.

Che valutazione dà dell’operazione Karama (Dignità), il tentativo di colpo di stato di Khalifa Haftar?

Ha portato la Libia in un vicolo cieco. La comunità internazionale ora associa la Libia a guerra e distruzione. Tripoli è invasa dagli abitanti di Bengasi. Il capoluogo della Cirenaica è come le città siriane, completamente distrutto. Nonostante questo Haftar rifiuta il dialogo. Mentre noi partivamo per i colloqui di pace a Ginevra, lui bombardava la Tripolitania. Non è sostenuto dall’esercito. Chi appoggia Haftar sono delinquenti, alcuni dei militari pro-Gheddafi, pochi simpatizzanti. Insomma controlla poco più di una milizia.

Haftar combatte il terrorismo dello Stato islamico o lo alimenta?

Haftar è un uomo di guerra. Che io sappia ha legami stabili con i sedicenti combattenti dello Stato islamico a Sirte. Non a Derna però. Qui Haftar ha deciso di bombardare i jihadisti ma unilateralmente, senza neppure consultare il parlamento di Tobruk. Per cui molti dei parlamentari che lo sostenevano hanno smesso di appoggiarlo e si sono riparati a Tripoli. Anche il cartello Fajr (Alba, ndr) ha bombardato lo Stato islamico. Perché le due parti non si accordano almeno su questo e combattono insieme il terrorismo?

Il premier italiano Matteo Renzi e il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni hanno parlato spesso di un possibile intervento armato in Libia, quali sarebbero le conseguenze?

Un intervento ora accenderebbe un focolaio di guerra che coinvolgerebbe tutta la regione e non basterebbero venti anni per spegnerlo. L’Italia non deve entrare militarmente in Libia, ma impegnarsi per il suo sviluppo economico.

Cosa pensa dei Fratelli musulmani libici, crede che la soluzione sia il pieno riconoscimento del parlamento di Tripoli?

Credo nella democrazia, la Fratellanza è un partito che ha il diritto di partecipare allo sviluppo delle istituzioni come tutte le altre forze politiche. Hanno il diritto di prendere parte alla costruzione nazionale per il bene dello Stato e senza fare uso della forza. La maggioranza del popolo libico non vuole la guerra. La maggioranza dei libici, ora che le carte si sono mescolate, non segue né l’una né l’altra parte e si difende con le armi. Per evitare la guerra civile bisogna dialogare e trovare un accordo tra le parti. Anche le potenze straniere (Egitto, Arabia saudita e Qatar, ndr) che appoggiano una o l’altra fazione fanno ormai parte del problema.

Perché Tripoli non fa di più per fermare l’immigrazione clandestina?

Si tratta di una questione vecchia e nuova allo stesso tempo. Il tentativo spudorato di collegare immigrazione ed estremismo islamico è assolutamente fuorviante. Se ora il problema dell’immigrazione si è aggravato rispetto al passato è perché non c’è controllo dei confini in Libia. Chiaramente solo la pace e la stabilità possono far diminuire i flussi migratori. Unione europea e Italia devono sostenerci con mezzi ed esperienza, questo di sicuro favorirà la diminuzione dei flussi. E poi la maggior parte dei profughi parte dalla Tripolitania perché l’immigrazione è diventato un grosso affare per la mafia libica e nord-africana. Lo sfruttamento dell’immigrazione frutta di più del traffico di droga che può essere intercettato mentre questo no. La prima vittima è la Libia perché non sono certo i libici a migrare, ma arabi e africani che fuggono dai conflitti.