Il 27 febbraio 2020, con l’ordinanza n. 15, il Sindaco di Taranto Rinaldo Melucci, aveva ordinato ad Arcelor Mittal e a Ilva in Amministrazione Straordinaria, lo spegnimento dell’area a caldo dello stabilimento di Taranto. Questo provvedimento era stato accolto dai giudici del Tar di Lecce, pubblicato il 13 febbraio 2021, che avevano evidenziato “lo stato di grave pericolo” in cui vivono i cittadini di Taranto. Con la sentenza n. 4802 del 23 giugno 2021, la Sezione IV del Consiglio di Stato ha annullato la sentenza del Tar di Lecce facendo così cadere le ipotesi di spegnimento.

Sindaco, nella sentenza il Consiglio di Stato ha scritto che il potere di ordinanza d’urgenza è stato da lei esercitato in assenza dei presupposti di legge.
La legge serve gli uomini e regola la vita delle comunità, il valore della vita non può essere soverchiato da alcun dispositivo amministrativo o giudiziale, non è questo il senso dello stato di diritto. Io devo difendere la salute dei miei concittadini, specie delle nuove generazioni. Ogni altro ragionamento è un vuoto esercizio burocratico, lo lascio a chi sa scendere a compromessi con la propria etica.

Acciaierie d’Italia di essere pronta a presentare, insieme ai suoi partner industriali Fincantieri e Paul Wurth (ex Italimpianti), una proposta di piano per la transizione ecologica.
Perché quando glielo ha chiesto il sindaco si sono girati dall’altra parte? Perché allora nei giorni di questi comunicati tornano a chiedere all’Osservatorio permanente presso il Mite il differimento di importanti interventi di ambientalizzazione degli impianti? Di che tipo di transizione esattamente parliamo? C’è una bella differenza sulla qualità della vita degli abitanti del quartiere Tamburi se propongono di usare i miliardi del Pnrr per rifare un altoforno, una tecnologia comunque del XIX secolo, oppure se stabiliscono di passare progressivamente ai forni elettrici e all’impiego dell’idrogeno.

Tra il piano di Invitalia, che apre alla partecipazione dello Stato, e la decarbonizzazione, che chiedono Comune di Taranto e Regione Puglia, passa una differenza di oltre il 70% di abbattimento di tutte le emissioni a regime. Ci spiegassero fatti puntuali, noi non siamo populisti o fan della decrescita felice, ma se non esiste a tutt’oggi un tavolo istituzionale che coinvolga la comunità, di che parliamo? Siamo ritornati forse alla stagione nella quale il giocatore si scrive da solo le regole del gioco e le impone agli Enti locali e al Governo italiano?

Cosa si sente di dire ai lavoratori di Acciaierie d’Italia, Ilva in AS, così come alle tante aziende dell’indotto e ai loro lavoratori, che vivono ormai da tempo una fase di assoluta incertezza?
È di nuovo in atto il tentativo di dividere e confondere la comunità, il tentativo di ricattarci tutti ancora una volta sul presupposto del lavoro. Ma è una utopia, è ormai chiaro che senza salute e ambiente non c’è benessere e prospettiva, quel lavoro diventa semplicemente una condanna, una schiavitù. Prima lo hanno desertificato il nostro indotto ed hanno abusato ed abbandonato i lavoratori, ho l’impressione che siamo fuori tempo limite. Sarebbe intelligente e serio trovare una riqualificazione altrove per quegli addetti e spingere forte sulla diversificazione produttiva del nostro territorio.

Il mercato non consentirà comunque di preservare grandi numeri in quello stabilimento così antiquato nella concezione, non c’è futuro per nessuno se non si avvia una vera e radicale transizione tecnologica. E abbiamo il dovere di proteggere l’aspirazione di una comunità di mezzo milione di cittadini, gli abitanti dell’intera Area Vasta tarantina, poiché la preminenza dell’interesse, ancorché legittimo, di 10 o 12 mila individui è finita da un pezzo. Riusciamo ancora a dire la verità in questo nostro Paese?

La sua comunità richiede con forza, da tempo, una maggiore tutela riguardo il rischio sanitario. Cosa bisogna fare in questo senso?
Quello che stanno facendo le nazioni europee più evolute, in coerenza con le politiche europee, che tendono alla neutralità climatica entro pochi decenni. E in sostanza quello che in altri luoghi di Italia si è già fatto, senza che si sia rinunciato all’acciaio: chiudere l’area a caldo ed autorizzare livelli annuali di produzione agganciati ad un rigoroso e preventivo meccanismo di valutazione del danno sanitario. Questo comporta grandi investimenti pubblici, un concreto ciclo di bonifiche sul territorio, un ridimensionamento ed un arretramento fisico dello stabilimento dal perimetro cittadino e dal porto, un impegno costante e sostanzioso dell’azienda in termini di responsabilità sociale nei confronti dei residenti, l’implementazione di strutture sanitarie specializzate. Insomma, quello che noi immaginiamo essere i contenuti di un accordo di programma.

Cosa si aspetta dal Governo ora?
Insieme al premier Draghi possiamo ancora mostrare all’Europa che l’Italia è capace di raccogliere grandi sfide e aprire una nuova epoca di umanesimo, prima ancora che di ecologismo. Il Taranto è un paradigma non solo locale. Se il suo governo non risponde a questa chiamata, credo proprio che il declino del sistema sarà inevitabile, e prima o poi sarà la competizione con l’acciaio e le politiche degli altri Paesi che metteranno fine alla strage dell’Ilva.