Il vento di foehn ha reso più nitida la cornice di montagne che circonda Torino. Le più vicine sono quelle della Val di Susa, che basterebbe conoscere e percorrere per ribaltare molti dei luoghi comuni esposti da chi fornisce un valore quasi messianico a un’opera come il Tav. Non è una valle isolata, né chiusa, né contro il progresso. Ora, anche tra queste pendici battagliere, viene agitato lo «spettro» del referendum che difficilmente terrebbe conto di come questa Valle abbia dato più volte prova di democrazia. Con la piazza e con la partecipazione, da quasi trent’anni. Ne parliamo con Sandro Plano, sindaco di Susa e presidente dell’Unione montana della Valle di Susa, No Tav, iscritto al Pd e in storico dissenso con la maggioranza del suo partito, che, ancor più nelle ultime settimane, ha fatto della Torino-Lione la propria bandiera.

Sindaco Plano, per quale motivo il fronte Sì Tav che fino a novembre non era mai sceso in piazza l’ha fatto per la seconda volta?

Noi di manifestazioni ne abbiamo organizzate tante, chi la pensa diversamente è giusto che ne faccia. È una prova di democrazia. Mi stupisce, però, questa grossa risonanza mediatica a proposito di manifestazioni più o meno pari o minori rispetto alle nostre che, in quel caso, avevano avuto, invece delle ultime strillate prime pagine Sì Tav, trafiletti che rimandavano a fogli interni. Tutto questo non saprei come interpretarlo se non con una benevolenza particolare dei mass media nei confronti delle tesi favorevoli.

Cosa ne pensa dell’ipotesi referendum sponsorizzata da Salvini come da Chiamparino?

Significa sfuggire dalle responsabilità di governo, è evidente. Tra l’altro, prima ancora dell’analisi costi-benefici, già l’Osservatorio aveva ridimensionato le previsioni di traffico e le ipotesi di utilizzo dell’infrastruttura. I dati per decidere ci sono. Questo è un chiaro esempio di traccheggiamento politico. Il governo è pagato per risolvere i problemi, non deve ribaltare sull’opinione pubblica una decisione che, invece, dovrebbe assumersi. Una decisione che, vista anche la benevolenza mediatica per i sostenitori, in caso di referendum sarebbe presentata in modo totalmente sbilanciato.

Cosa bisognerebbe fare?

Da ingegnere, ragiono in termini schematici. L’ok all’opera è stato sancito con un voto in Parlamento e da un accordo internazionale. Se l’analisi costi-benefici, come sembra, dirà che è ingiustificata la spesa per questa infrastruttura, dovranno essere ridiscussi gli accordi internazionali. E si dovrà presentare in Parlamento questo ulteriore discussione. Si sta divagando sul tema, quando, invece, ci sarebbero percorsi ben precisi da seguire.

Circola la voce di un «Piano B», meno costoso, per il Tav una sorta di compresso tra gli alleati di governo.

Lo presentino. Ormai saremo arrivati, più o meno, al «Piano Z».