«La politica punta molto sul tema sicurezza ma, se è questo l’obiettivo, la strada da percorrere è il dialogo non la contrapposizione». Sono parole di Emilio Del Bono, sindaco Pd di Brescia: una realtà con 37 mila stranieri regolari su 200 mila abitanti che ospita 105 nazionalità diverse. Una realtà che ha deciso di offrire asilo ad Asia Bibi, la 47enne pakistana arrestata in patria nel 2009 con l’accusa di blasfemia.

La donna, che si trova ancora nel Paese d’origine con la famiglia, sta subendo minacce di morte da parte di musulmani estremisti, anche dopo l’assoluzione della Corte suprema pakistana del 31 ottobre scorso. La proposta di ospitalità – come segnalato ieri dal Giornale di Brescia – è dell’Ordine degli avvocati locale. Suggestione subito accolta dal primo cittadino che ha definito la città «forte di una propensione all’accoglienza e al rispetto dei diritti dell’uomo».

Del Bono, perché Brescia?
La nostra disponibilità è stata fisiologica, non c’è stata alcuna forzatura. Da sempre siamo un laboratorio di dialogo interreligioso, oltre che di difesa della libertà di culto. L’Ordine degli avvocati ha perciò trovato che fosse la destinazione naturale per Asia Bibi e la sua famiglia. Sta a loro decidere.

Se accettassero quale sarebbe l’iter?
Il via libera al loro arrivo, innanzitutto. Mi pare che il governo abbia già dato parere favorevole. Dopo, la richiesta di asilo viene inoltrata alla città. Noi abbiamo già preso contatto con l’Associazione Pontificia che fa da tramite con la famiglia e ci siamo detti disponibili ad accoglierla. Se ci sarà una risposta positiva, troveremo un luogo di riparo. Nell’attesa che l’iter faccia il suo corso, verrebbero affidati a una struttura per richiedenti asilo.

In questa vostra offerta d’aiuto, quanto ha pesato che Asia sia cristiana?
Inutile negare che abbia inciso: Brescia è una città cattolica, la città di Paolo VI. Parliamo però di un cattolicesimo dialogante: qui il confronto interreligioso non è una teoria ma una pratica consolidata. Lo sforzo comune è teso al rispetto e alla libertà di culto, non come battaglia politica, ma come diritto fondamentale.

Una libertà che pare ostacolata in Regione Lombardia dalla discussa ‘Legge anti-moschee”.
Trovo molto contraddittoria questa posizione: se il tema è la sicurezza – e sembrerebbe esserlo – bisognerebbe puntare sul dialogo, sulla capacità di costruire una convivenza costruttiva. Serve un patto con le comunità di immigrati. Anche perché, a dirla tutta, sono convinto che gli stranieri vogliano tranquillità, lavorare e vivere dignitosamente. Attenzione, i delinquenti sono un’altra cosa: confondere i piani, quello sì che genera insicurezza.

E a livello nazionale, il dl Salvini rischia di aumentare la clandestinità?
Certo. Bisognerebbe rivederlo e ripensare ad alcune ricadute pratiche della sua attuazione. Non voglio farne una questione ideologica, parlo da sindaco: il pericolo è che, concluse e respinte gran parte delle domande di asilo e non essendoci le condizioni bilaterali per le espulsioni, aumenterebbero i cosiddetti invisibili.

Cosa cambierebbe del provvedimento?
Il tema centrale è il conferimento di un titolo di presenza legale a chi veda respinta la propria richiesta di asilo, pur non potendo essere espulso.

Cosa può significare l’offerta di aiuto ad Asia?
È il nostro no agli estremismi, perché siamo convinti che il pluralismo sconfigga ogni genere di integralismo