Gustavo Petro non ha ancora perso la partita, almeno sul piano legale. L’organismo pubblico incaricato di controllare i funzionari ha confermato la decisione di destituire per 15 anni il sindaco di Bogotà e di interdirlo dai pubblici uffici. Un altro tribunale l’ha però momentaneamente sospesa. La sanzione era stata emessa il 9 dicembre scorso dal Procuratore generale Alejandro Ordoñez, che accusa il sindaco di presunte irregolarità nella gestione dei rifiuti. Petro si è rivolto alla Corte interamericana per i diritti umani e a un tribunale amministrativo locale. E ha fatto appello alla piazza, gridando al «colpo di stato». Intanto, è stato fissato per il 2 marzo il referendum convocato contro di lui da Miguel Gomez, uomo della cerchia di Alvaro Uribe e del suo attuale Centro democratico.
Petro ha chiesto al presidente (conservatore) Manuel Santos di sospendere la sanzione e di attendere almeno il 2 marzo prima di mettere in moto il percorso per l’elezione di chi dovrà sostituirlo. Il governo del conservatore Manuel Santos non ha però risposto. Il ministro della Giustizia, Alfonso Gomez, ha anzi assicurato che il sindaco della capitale verrà destituito nelle prossime settimane. Intanto il movimento politico Progresistas, con cui è stato eletto Petro per governare dal 1 gennaio 2012 alla stessa data del 2016 dovrà scegliere un nuovo candidato, che verrà o meno confermato dalle urne per completare il mandato. Santos dovrebbe indire le elezioni per il nuovo sindaco tra aprile e maggio in modo che non vi sia concomitanza con le legislative (9 marzo) e le presidenziali (25 maggio).
La partita che si sta giocando a Bogotà è però di portata nazionale, tutta interna agli intrecci di potere che governano la Colombia e che non intendono mollare la presa. Quella che ricopre Petro è considerata la seconda carica più importante dopo la presidenza della Repubblica. Petro non è di certo un radicale, ma un navigato animale politico che ha cavalcato l’onda di quella stessa politica che ora lo combatte. Anche il suo pallido riformismo, però, non trova spazio di agibilità in Colombia. Il suo passato di ex guerrigliero del defunto movimento M-19, dissolto nel 1990, è diventato improvvisamente scomodo. Da un anno, infatti, vanno avanti all’Avana le trattative tra il governo Santos e la guerriglia marxista delle Forze armate rivoluzionarie colombiane (Farc). Il punto dirimente che abbraccia tutti i cinque in discussione è quello della partecipazione democratica e della sicurezza per l’opposizione di non essere uccisa o arrestata: una prassi purtroppo consueta, come le cifre attestano.
Dove non arrivano i paramilitari, arriva Ordoñez, il Torquemada dei tribunali che ha finora spianato la strada alla destra, rimuovendole gli ostacoli scomodi. Tra le sue ultime vittime, l’ex senatrice Piedad Cordoba, grande mediatrice nel conflitto cinquantennale tra governo e guerriglia: interdetta dai pubblici uffici per 18 anni. Erano in molti a volerla candidare alle prossime elezioni. Anche il leader del movimento Marcia Patriottica, Francisco Toloza, attivo nelle organizzazioni sociali che sostengono il processo di pace è stato messo fuori gioco con una procedura giudiziaria: con la solita accusa di avere contatti con la guerriglia. Marcia Patriottica è scesa in piazza anche per Petro, unendosi alla mobilitazione permanente in Piazza Bolivar.
«Se accade questo a Petro che fa politica senza armi da oltre vent’anni che faranno con noi?» hanno detto da Cuba i negoziatori delle Farc, denunciando il «fanatismo cavernicolo» del Procuratore, indice dell’assenza di veri spazi democratici per l’opposizione, e invitando a non votare per le destre. Ieri, dall’Avana, sono arrivate le prime dichiarazioni sul tema in discussione in questa terza fase delle trattative: quello delle droghe illecite. La proposta delle Farc s’inserisce nel percorso già adottato in Uruguay e in alcuni stati del Nordamerica per la cannabis. Prevede garanzie e condizioni di sicurezza per la popolazione contadina che risiede nelle zone in cui si coltiva la foglia di coca, che il governo vorrebbe fumigare. La guerriglia respinge al mittente le accuse di essere al centro del narcotraffico. Denuncia anzi il fallimento delle politiche condotte dal governo e dagli Usa nella cosiddetta lotta alla droga: che invece – dice – porta ad ingrassare boss mafiosi e politici corrotti.