Domenica 2 agosto 2015 ho avuto uno scambio di tweet con il nuovo sindaco di Venezia. Avevo osato criticare alcuni suoi atteggiamenti – e sottolineo atteggiamenti, non scelte politiche – in un articolo al quale lui ha reagito con un aplomb non proprio all’altezza della carica istituzionale che riveste.

Sono stato una delle sue prime vittime: poi è toccato a Berengo-Gardin, Celentano, Gian Antonio Stella, Elton John, Michele Serra. Devo confessare che non è affatto piacevole avere il sindaco della tua città che ti sbeffeggia su twitter, ti incalza e, velatamente, ti minaccia attraverso delle frasette, seguite da emoticon adolescenziali.
Non è piacevole, perché questa veste di opinionista e commentatore la ricopro da qualche decennio e sono sempre stato abituato a ricevere – eventualmente – repliche argomentate tanto quanto i miei interventi.
Sì, perché prima di mettersi a scrivere un articolo ci si pensa sempre a lungo, se ne discute con il direttore del giornale o con altri colleghi. Del resto, sono delle riflessioni, e ce lo insegnano fin dalla scuola elementare quale sia il procedimento per un intervento scritto di questo genere.

Dico delle ovvietà, ma di fronte a una persona, il nuovo sindaco di Venezia, che sembra digiuno da qualunque abbecedario riguardante questa e molte altre materie, mi ritrovo costretto a dover precisare. Forse, questi suoi comportamenti sono la conseguenza naif, e perciò involontaria, di un senso di inadeguatezza.

Entrato in competizione all’ultimo momento, una campagna elettorale – color fucsia – faraonica, tipica dell’ennesimo imprenditore «sceso in politica», si è ritrovato a vincere per la manifesta incapacità del Pd locale.

Ha vinto dunque senza crederci, forse, e ora è alle prese con una cosa che gli è del tutto estranea, troppo complessa e che lo fa agire in questo modo. Forse. Ma anche se così fosse, è stato in ogni caso spiacevole e doloroso ritrovarmi a dover replicare a tweet quanto meno indelicati a me indirizzati dal sindaco. Il disagio nel vedere svilito e banalizzato il mestiere mio e di altri, è stato profondo. Ma soprattutto, ciò che fa più male è vedere ridicolizzato e svilito il ruolo di sindaco.

Venezia non può avere come guida uno che – lo scrivo come lo direbbe lui – «butta tutto in vacca». Uno osa criticarlo e lui – subito – lo sbeffeggia, lo deride. Frantuma sul nascere ogni ipotesi di dialogo, di confronto. Un paio di tweet pieni di faccine e via, tirandosi dietro i suoi pasdaran fucsia, sempre pronti a schierarsi al suo fianco, nei commenti, iterando ed esasperando la derisione.

In questo modo, il nuovo sindaco di Venezia non solo dà la peggiore immagine possibile della città, ma sta istituzionalizzando pratiche populiste forse mai viste prima, fondate sulla pochezza di idee e cultura istituzionale. E il paradosso è che non si tratta, per ora, di politica: l’inadeguatezza sembra umana, almeno, lo ripeto, per ora.

Così, con manciate di tweet al giorno, dà l’immagine di uno che crede di aver acquisito l’ennesima aziendina (e non la città più bella e amata del mondo) e volerla gestire come gli pare, con regole stravaganti, con una visione complessiva assai limitata, basata su divieti e censure.

Di fronte a ciò, non può che scattare la critica, con la consapevolezza, sia chiaro, di poter essere smentiti e contraddetti immediatamente. Lo sappiamo bene e, ogni volta, siamo pronti al confronto.

Ma a essere derisi, no. Per questo, di fronte alla banalità, al dileggio sciocco, verrebbe da opporre il silenzio. Perché ti senti annientato davanti a chi spernacchia il tuo pensiero, a chi ti fa la battuta in dialetto e alla quale non puoi più opporre nulla, perché è già partita l’onda (un’ondina, a dire il vero), fatta di «bravo sindaco, faghea veder» e altri slogan in pure stile calcistico, come quel «ghea podemo far», utilizzato dal sindaco anche in coda al tweet che annunciava le bandiere a mezz’asta per l’uccisione di Khaled al Assad, con un effetto stridente e a dir poco imbarazzante.

È questo, in sintesi, il nuovo sindaco di Venezia, uno che dovrebbe guidare con saggezza la città più bella e amata del mondo. Un mondo che si è già accorto quanto egli sia (forse suo malgrado) inadeguato a questo ruolo.