Il magazzino Fc01 di Passo Corese è il primo della seconda generazione. Niente a che vedere con l’ormai vetusto Mxp5 di Castel San Giovanni a Piacenza, il primo Amazon in Italia. Qui a 40 chilometri a nord di Roma «è tutto robotizzato» e gran parte dei 1.300 lavoratori a tempo indeterminato più altrettanti interinali operano «in cabine di plexiglass senza rapporti diretti con i colleghi». In cima alla piccola collina troneggia il blocco rettangolare verso cui brulicano decine di tir mentre sotto fervono i lavori di spiano: «Vengono Poste e Leroy Merlin, sfruttano la vicinanza, mentre presto Amazon aprirà magazzini a Fiano e Fiumicino».
Nel giorno del primo sciopero al mondo dell’intera filiera «l’adesione allo sciopero è del 60%», annunciano Filt Cgil, Fit Cisl e Uilt ai cancelli. Naturalmente si tratta della percentuale di chi ha scioperato tra gli assunti a tempo indeterminato. Tra gli interinali a scegliere di non lavorare sono stati pochissimi. «E li capisco senza bisogno che qualcuno di loro ce lo spieghi perché ci sono passato anch’io», racconta Rosario Gramendola, primo rappresentante dei lavoratori (Rsa) nominato dalla Filt Cgil l’anno scorso. Nelle «assemblee di preparazione allo sciopero qualcuno di loro si è fatto vedere ma sono portati a lavorare il più possibile per sperare di essere assunti a tempo indeterminato».

Rosario Gramendola, Rsa Filt Cgi a Passo Corese

Una speranza che, nonostante il boom post pandemia, ultimamente si è rivelata vana: «Dei 2 mila interinali assunti sotto natale nessuno è stato confermato», rivela Rosario.
Lui è entrato a Passo Corese un mese dopo l’apertura «a ottobre 2017, assunto a tempo indeterminato a marzo 2018». In tre anni e mezzo ha già cambiato diverse mansioni: «Ora a 49 anni sono un picker e raccolgo 1.500 pacchi al giorno, seppure col robottino, gli acciacchi si iniziano a sentire». Un figlio, una moglie e «la crisi all’aeroporto a Fiumicino» dove lavorava prima, ora guadagna «1.280 euro netti al mese lavorando cinque giorni a settimane e cinque notti al mese, dalle 22 e 30 alle 6 del mattino seguente».
Il tutto mentre Amazon continua a fare profitti record e le condizioni di lavoro continuano a peggiorare. «Non ne possiamo più e per questo siamo entrati nel sindacato con l’obiettivo di stare meglio perché lo stress psicologico a cui siamo sottoposti è fortissimo, con un capo che tutti i giorni ti valuta e continua a dirti: “Si può fare di più».
La lotta sindacale è stata lanciata pensando proprio agli scioperi dei colleghi di Piacenza. «Loro hanno il contratto del commercio mentre noi abbiamo quello della logistica. Ma loro sono riusciti ad ottenere le maggiorazioni sui festivi e sui notturni mentre per noi quei turni sono pagati quasi uguale: solo il 15% in più mentre a Piacenza hanno conquistato il 50%». Amazon Logistica Italia non può negare il problema, tanto che per «cercare di armonizzare la differenza di trattamento con Piacenza a fine anno ci ha riconosciuto a tutti un livello contrattuale in più».
Ma guai a far entrare il sindacato. «Fare le assemblee è stata un’impresa e le nostre richieste le abbiamo inviate a non si sa chi perché il direttore dello stabilimento non sappiamo chi sia e di certo non ci vuole incontrare», sottolinea Rosario. «Insomma, stiamo lottando contro un muro e siamo da una settimana in attesa di risposta».
L’unica vittoria sindacale è figlia di un «sondaggio»: «Volevano passare da cinque a sei giorni di lavoro alla settimana. Noi eravamo contrarissimi però prima di imporlo hanno fatto un sondaggio informale fra i lavoratori capendo che sarebbe stato un autogol: la nostra prima vittoria», spiega ridendo.
La seconda vittoria l’ha ottenuta la Fit Cisl che poche settimane fa facendo condannare Amazon per condotta antisindacale per non aver riconosciuto i loro due Rsa. «Pochi anni fa, il piazzale antistante lo stabilimento Amazon di Passo Corese era inaccessibile al sindacato. Essere stati in presidio di fronte al sito con le nostre bandiere assume dunque oggi una valenza storica – dichiara il segretario della Fit Cisl Lazio Marino Masucci – . Per parte nostra, non ci fermeremo finché non sarà superato il mito della «falsa modernità», secondo cui un algoritmo elaborato a Barcellona decide i ritmi delle persone. “Innovazione” non è semplice applicazione tecnologica, ma coniugazione di diritti e nuove frontiere del lavoro».