Fra le «riforme» di stampo neoliberista, l’innalzamento dell’età pensionabile è una di quelle che non mancano mai. Non c’è «raccomandazione» della troika Fmi, Banca Centrale Europea e Commissione europea che non contempli una revisione del sistema di previdenza «per adeguarlo ai cambiamenti demografici», rendendolo «sostenibile nel lungo periodo». Una ricetta che vale sempre, per qualunque Paese: dal Portogallo alla Grecia, passando naturalmente per l’Italia.

Ne sa qualcosa il governo socialista francese, che sino ad ora si è rifiutato di applicare gli insistenti «suggerimenti» di Bruxelles, tenendo duro nella difesa dei diritti acquisiti dai lavoratori transalpini. Difficile ipotizzare quanto la resistenza di François Hollande possa durare, soprattutto se alle elezioni tedesche di settembre l’attuale maggioranza di centro-destra guidata da Angela Merkel dovesse risultare confermata. Come appare, purtroppo, probabile. La Germania, infatti, è stata pioniera nella «riforma» pensionistica e, come su tutto il resto, detta la linea. Nel 2007, la Grosse Koalition formata da democristiani (Cdu) e socialdemocratici (Spd) stabilì che i cittadini tedeschi hanno diritto a ritirarsi dal lavoro a 67 anni, e non più a 65 come era in precedenza. La legge venne duramente osteggiata dalla confederazione sindacale unitaria (Dgb) e che costò una grave perdita di consenso alla Spd alle successive elezioni del 2009.

A poco meno di tre mesi dal ritorno alle urne, il sindacato fa sentire nuovamente la propria voce. O meglio, dà voce ai lavoratori attraverso un’indagine statistica, condotta su un campione di 5mila persone. Dallo studio risulta che la maggioranza di chi oggi ha un impiego non crede di poter resistere in buona salute lavorando sino ai 67 anni. Naturalmente, contano le differenze di comparto: fra scienziati e tecnici di laboratorio, il 65% pensa di potercela fare fino all’età legalmente prevista, mentre nel settore della cura alle persone sono solo il 20% a ritenerlo possibile. Percentuali molto basse si trovano anche fra i metalmeccanici e gli edili.

Così il sindacato tedesco chiede al governo – e ai partiti in campagna elettorale – di impegnarsi per «migliorare con urgenza le condizioni di lavoro» e di tornare alle norme sull’età pensionabile valide prima della riforma del 2007. Già il traguardo dei 65 anni, sottolinea la Dgb, risulta essere, in molti casi, difficile da raggiungere restando in buona salute psico-fisica. Nelle tesi del sindacato tedesco non c’è, dunque, nulla di rivoluzionario: la coalizione di centro-destra che sostiene la Cancelliera Merkel, tuttavia, non ne vuole sentire.

A sinistra, i social-comunisti della Linke, da sempre ostili alle «riforme» che significano tagli alle prestazioni sociali, vedono nei risultati dell’inchiesta della Dgb una conferma delle proprie idee. Come alternativa alle norme vigenti propongono un sistema di accesso alle pensioni flessibile, calibrato su bisogni diversi. E che consenta a chi ha lavorato 40 anni di potersi ritirare al compimento dei 60. Favorevoli ad un sistema più flessibile anche i Verdi, che però ritengono si debba mantenere l’innalzamento a 67 anni. La Spd, dopo aver votato la «riforma» contestata ed essere incorsa nella peggior débâcle elettorale della sua storia, ha fatto mea culpa: ora propone che i lavoratori con 45 anni di attività possano andare in pensione a 63 anni.