Per i politici italiani Davide Bifolco non è mai esistito. Tanto meno è stato ammazzato come un cane prima di compiere 17 anni in una via di Traiano. Si smarca, onore al merito, solo Sel, col senatore napoletano De Cristofaro, audace, che chiede al ministro Alfano di riferire in Parlamento, e con lo stesso Vendola, più cauto: il fatto «turba e ferisce», però piano, che «nessuno può fare processi sommari». Avrebbe anche ragione, non fosse che qui, casomai, si assiste inerti a una sommaria assoluzione. L’ennesima.

Tacciono, gli eroi del Palazzo, perché temono di sfidare un’opinione pubblica addestrata ad applaudire le divise qualunque cosa facciano, e tanto meno ambiscono a sfidare il settore, oltretutto cospicuo forziere di voti, proprio nei giorni ribollenti del primo «sciopero generale» minacciato dalle forze dell’ordine.

Ma Angelino Alfano, l’uomo che più di ogni altro avrebbe il dovere di schiudere le labbra dal momento che, sia pur da incompetente, fa il ministro degli Interni, ha un motivo in più per fingersi distratto. Si sta giocando ciò che ha di più caro, il posto, e figurarsi se ha voglia di moltiplicare le minacce per una faccenda che, in fondo, perché mai dovrebbe riguardarlo?

Che l’ambita poltrona dell’ex delfino traballi è un segreto di Pulcinella. Al Viminale le ombre del brutale rapimento che fu il caso Shalabayeva non si sono mai dissipate, e l’assenteismo cronico del titolare ha fatto il resto. Renzi e i suoi, inoltre, non hanno mai smesso di carezzare con palese cupidigia la riconquista di quella cadrega. E il momento buono potrebbe non essere lontano.

La tegola dello sciopero delle divise è piombata sul capo di un Alfano già per nulla tranquillo. È una tegola difficilissima da scansare perché sembra non esserci alternativa tra lo scontentare il premier, rischiando così l’osso del collo, e l’inimicarsi definitivamente la sua truppa, che già lo ama ben poco.

L’«ammazzatina» napoletana rischia di riproporre il dilemma in forme ancor più drastiche. Prendere a priori le difese del pistolero accidentale significherebbe, ove venisse fuori che l’accidente poteva facilissimamente essere evitato, finire nel mirino di quell’opinione ancora ostile ai grilletti facili che, nonostante tutto, nella base della maggioranza è ancora forte.

Ipotizzare una qualche responsabilità del carabiniere in questione, però, vorrebbe dire condannarsi al campeggiare vita natural durante in testa alla lista nera delle forze di polizia. Per un ministro degli Interni traballante non è che sia il massimo.

Ovvio quindi che l’ancora non si sa per quanto ministro tenga le dita incrociate augurandosi che le indagini non gli rendano inevitabile esporsi quando martedì sarà nell’aula di palazzo Madama per riferire sul terrorismo internazionale. Sarebbe un bel guaio…