La terribile vicenda dei 13 ragazzini eritrei massacrati al confine con il Sudan, di cui «il manifesto», unico tra i giornali italiani, ha meritevolmente riferito nell’articolo «Strage di bambini in fuga dal loro paese», pubblicato nel numero del 2 gennaio, dimostra in maniera eloquente a che punto di negazione totale dei diritti umani fondamentali, incluso quello alla vita stessa, sia arrivata la dittatura di Asmara. Si tratta di crimini di cui gli esponenti e i complici del regime, a tutti i livelli, dovranno prima o poi essere chiamati a rispondere, in base al diritto internazionale, oltre che alla Giustizia del loro stesso Paese, una volta abbattuta la dittatura e riconquistata la libertà.

Proprio per questo mi permetto di ricordare le sentenze penali con cui, nella Germania riunificata, vennero condannati alti dirigenti dell’apparato statale della Ddr, generali e comandanti militari che avevano dato l’ordine di aprire il fuoco e, infine, le guardie di frontiera che avevano sparato su fuggiaschi che tentavano di passare il confine con la Germania occidentale, uccidendoli . L’operato della polizia di frontiera eritrea rientra nella stessa fattispecie di crimine contro l’umanità, reso particolarmente spregevole dal fatto di trattarsi di minori.

Ai ministri degli Esteri, Paolo Gentiloni, e dell’Interno, Angelino Alfano, che non più di un mese fa presiedevano a Roma la Conferenza interministeriale per il varo del cosiddetto Processo di Khartoum, definito, nella pubblicistica ufficiale, momento qualificante della Presidenza italiana all’Unione Europea, converrebbe domandare inoltre se ritengano che i tredici ragazzi fucilati e fatti sparire fossero dei migranti e se sia questa la «più efficace gestione dei flussi migratori» che l’iniziativa diplomatica italiana intende perseguire. E se non sentano disagio alcuno, per non dire problemi di coscienza, nel mantenere rapporti di cooperazione, che potrebbero un giorno venir definiti di complicità, con una dittatura che insieme alla Corea del Nord è considerata tra le più feroci al mondo, oltre che con governi come quello somalo, etiope o, soprattutto, sudanese, sul cui presidente Al Bashir pende un mandato di cattura da parte della Corte Penale Internazionale. Il tutto, per soffocare all’origine quelli che vengono definiti flussi migratori e che tali non sono, dato che di rifugiati e richiedenti asilo si tratta.

Enrico Calamai è il portavoce del Comitato «Giustizia per i Nuovi Desaparecidos»