L’hanno chiamata «Giornata del silenzio». Il silenzio rispettoso in ricordo delle 299 vittime del sisma che due anni fa esatti devastò mezzo Appennino tra il Lazio, le Marche, l’Umbria e l’Abruzzo. Ma anche il silenzio di paesi che ormai non esistono più: spazzati via dalla furia del terremoto e poi quasi tutti abbandonati a se stessi, con la popolazione che cala e continua a calare, la ricostruzione che non è mai cominciata, i villaggi di casette provvisorie simbolo di una vita sospesa tra un passato cancellato e un futuro che tarda ad arrivare.

ALL’UNA E MEZZA di giovedì notte a Pescara del Tronto, il borgo vicino ad Arquata completamente franato il 24 agosto del 2016, è arrivato il presidente del consiglio Giuseppe Conte. A differenza dei funerali di Stato a Genova, questa volta per lui non ci sono stati applausi, ma tante strette di mano sì. E il premier, di nero vestito, ha sfilato con il lumicino in mano fino al parco del paese, dove due anni fa vennero deposte le salme delle vittime. Lì il vescovo di Ascoli Giovanni D’Ercole ha celebrato la messa. Poi, alle 3 e 36, ora della scossa, sulle note del silenzio sono stati letti i nomi di tutte le vittime.

Una cerimonia sobria, così come quella andata in scena nel pomeriggio di ieri ad Amatrice, dove s’è fatto vedere il vicepremier Luigi Di Maio. Anche qui, messa e momenti di cordoglio, ma anche spazio per qualche dichiarazione. «I cittadini – ha detto Di Maio ai cronisti – chiedono prima di tutto un rapporto costante con il governo. Sono persone che vogliono che venga compresa la loro sofferenza, che non si è per niente attenuata». C’era anche il segretario del Pd Maurizio Martina in camicia bianca e barba incolta d’ordinanza, ma è passato quasi inosservato nel suo giro tra le casette e i monumenti alla memoria delle vittime.

E mentre siamo già al terzo governo dopo il terremoto, la situazione non sembra affatto sul punto di svoltare. Qualche numero aiuta a dare un’idea dello stato dell’arte settecentotrenta giorni dopo la tragedia. Gli sfollati che vivono ancora negli alberghi della costa adriatica sono 2.922, mentre quelli che percepiscono il contributo pubblico sono 40.129, per una spesa annua di 144 milioni di euro.

LA RICOSTRUZIONE NON C’È: solo il 7 percento delle pratiche è stato evaso, con 5.732 richieste di intervento e appena 402 cantieri chiusi. Non sono terminate nemmeno le demolizioni: soltanto i paesi più grandi – Amatrice, Accumoli, Arquata, qualcosa in provincia di Macerata – hanno potuto godere di questo privilegio, mentre nelle frazioni la situazione è praticamente la stessa di due anni fa, come la lasciò il terremoto: le macerie per terra, le case distrutte e molte strade chiuse. Sono state rimosse circa 200mila tonnellate di macerie, e ne mancano (almeno) altre 130mila.

NON SI PUÒ DIRE che sia un problema di soldi: i fondi destinati dallo Stato alle aree terremotate ammontano a 250 milioni di euro, di cui 190 milioni per gli edifici pubblici. Il problema è che si procede sempre a estremo rilento, un po’ per la montagna di burocrazia da scalare ogni volta che bisogna fare qualcosa e un po’ perché negli uffici regna sovrana la paura di finire come a L’Aquila, cioè schiacciati dalle inchieste giudiziarie. Nel cratere, fin qui, le procure si sono mosse soltanto per cercare di capire se ci sono eventuali colpe umane per gli edifici crollati, oppure per beccare chi ha preso contributi senza averne diritto, oppure ancora per qualche caso di lavoro nero nei cantieri. Niente sugli appalti, malgrado qualche altolà lanciato dal presidente dell’Anac Raffaele Cantone, senza però strascichi giudiziari importanti.

LA LENTEZZA dell’apparato sfocia in indignazione quando viene fuori l’uso che (non) è stato fatto dei 34 milioni di euro donati dagli italiani con gli sms solidali. Questi soldi non sono spariti – come pure un maldestro Sergio Pirozzi cercò di far credere durante la sua campagna elettorale per le regionali del Lazio -, ma sono per lo più ancora fermi: dovevano servire a finanziare diciassette progetti, ma di tagli del nastro ce n’è stato solo uno, a Pieve Torina, nel maceratese, dove è stata realizzata una scuola.

INDIGNAZIONE, DUNQUE, ma soprattutto tanta stanchezza: i terremotati sono stufi persino di protestare, anche perché non sanno più bene neanche con chi dovrebbero prendersela. Le responsabilità vengono sempre rimpallate: da un governo all’altro, dalla Regione al commissario, dal commissario alla protezione civile, dalla protezione civile di nuovo al governo, e così via.

E nel cratere tutto è fermo: la ricostruzione, i soldi, la vita. Solo il tempo non si è mai fermato, e adesso queste zone, a due anni dal terremoto, non appaiono cambiate di molto. Sono solo un po’ più vecchie, un po’ più vicine al punto di non ritorno.