Sala di attesa di un medico. Siamo a pochi chilometri dal Monte Verità, fra le valli svizzere vicino ad Ascona. Il riferimento al Monte non è casuale e capirete dopo perché. Un signore piccolo, magro, sui settant’anni, la testa e il profilo da felino, con indosso larghissimi pantaloni arrotolati sopra le caviglie, scarpe da ginnastica, una borsa di cuoio a tracolla, un enorme zaino rigonfio sulle spalle si alza, va in segreteria e, con voce esilissima e accento tedesco, dice: «Scussi, io afere appuntamento a 11. Atesso 11,20». La segretaria gli risponde: «Non si preoccupi signor Lince. Oggi è una giornata un po’ complicata. La dottoressa la riceve fra poco». Lui guarda l’orologio che tiene legato a un’imbracatura dello zaino, dice «Crazie» e torna al suo posto. Dopo due minuti ricompare dicendo: «Io atesso antare cabinetto. Se tottoressa chiama me, io cabinetto» e imbocca la porta di fronte tenendosi lo zaino addosso. Dopo cinque minuti torna e avvisa: «Io atesso uscito da cabinetto». Quando arriva il suo turno, parla con la dottoressa in inglese, sebbene entrambi sappiano perfettamente italiano e tedesco. Guardo le infermiere con evidente stupore e loro sorridendo raccontano che è un paziente molto caro e particolare.

È COLTO, parla cinque lingue, arriva sempre con un’ora di anticipo e lo chiamano signor Lince, anche se il suo cognome è un altro, perché dice di essere una lince. «I primi tempi – raccontano – chiedeva che spegnessimo le luci della sala d’attesa perché voleva stare al buio. Poi salutava tutti con un piccolo ruggito e portando avanti i pugni, proprio come un felino che sta per graffiare. Gli abbiamo spiegato che qui non si può fare così perché non tutti capirebbero, così adesso dice solo buongiorno e non chiede più di restare al buio. È fatto così». Le cosiddette persone normali definirebbero il signor Lince un mezzo matto, ma tutti sappiamo che è il concetto di normalità a essere fuorviante perché la normalità non esiste, o meglio è una convenzione che la società si è data per stabilire una gabbia di accettabilità.

IL SIGNOR LINCE ha scelto di vivere e di esprimersi fuori da quei confini e non è un caso che lo faccia proprio in queste terre, a due passi dal Monte Verità, luogo dove nel 1900 fu fondata una delle esperienze di coesistenza più rivoluzionarie del secolo scorso. Oggi, le utopie sociali predicate e vissute dai fondatori (la pianista e femminista Ida Hofmann, il figlio di industriali Henri Oedenkoven, i fratelli Karl e Gustav Gräser) e portate avanti per decenni da artisti, politici, psicanalisti, teorici, scienziati, filosofi, medici, architetti, intellettuali che venivano qui da tutto il mondo sono raccontate nelle stanze del museo Casa Anatta in un percorso che si chiama Le mammelle del monte Verità.

Le MAMMELLE sono le estensioni delle idee originarie che volevano mettere in pratica il comunismo primitivo e le alternative al capitalismo: anarchia, utopia sociale, riforme della vita, dello spirito e del corpo attraverso psicologia, teosofia, nuove forme di danza, musica, architettura, alimentazione, arte.
Se oggi quell’aspirazione a una società libera da costrizioni è diventata storia e non più pratica quotidiana, le tracce sul territorio sono rimaste. Sarà per il potente polo magnetico che si trova sotto il Monte Verità, sarà per la sua storia, non è raro incontrare da queste parti personaggi come il signor Lince. Non mezzi matti, ma continuatori di un’idea di vita alternativa agli schemi dati. In ogni caso state tranquilli, il signor Lince gode di ottima salute.

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