Quando il filosofo argentino Ernesto Laclau nomina il regime neo-liberale come forma attuale del sistema dominante,non avverte la necessità di pensare a una critica pratica, molecolare, dello specifico potere egemonico di tale regime neo-liberale.

Come è stato osservato (da Domenico Tarizzo nella sua Introduzione a Ernesto Laclau, La ragione populista, Bari, 2008), Laclau non avverte, anzi non può avvertire, tale necessità in quanto è interno alla «logica dei significanti vuoti», in quanto è interno alla prospettiva di «costruire dei linguaggi in grado di fornire elementi di universalità». In sostanza, la costruzione politico-discorsiva del popolo ha come suo carattere costitutivo l’alternatività (ideologico-culturale) e non la critica: ma nel tempo attuale dell’egemonia neo-liberista la sfida populista non può che dar luogo ad una alternatività fragile, cieca, in quanto minata, resa continuamente precaria dal fatto che l’egemonia neo-liberista non viene vista e non viene fatta oggetto di un radicale attacco critico, politico, dall’interno.

Ora, in connessione con questo ordine di considerazioni, a me pare che il movimento delle Sardine sembra non vedere in nessun modo, non sospettare nemmeno l’esistenza del concretissimo (anche se invisibile) sistema di dominio in cui esso è immerso, e per ciò stesso non può costituire una risposta reale (e incisiva in profondità) al populismo etnico e razzista di Salvini. Ciò non toglie che rispetto a tale populismo possa costituirsi come un festoso, vociferante populismo alternativo.

Secondo Massimo Arcangeli (autore del volumetto Sardine in piazza, Castelvecchi, 2020) «l’analogia più forte è quella con il Popolo Viola, che il 5 dicembre 2009 grazie al tam-tam amplificato dal solito Facebook, si riunì nella capitale per chiedere a gran voce le dimissioni di Silvio Berlusconi da presidente del Consiglio». Ma si tratta, a ben guardare, di un’analogia più apparente che reale. Nella lettera inviata a La Repubblica quattro sardine (Giulia, Andrea, Roberto e Mattia) parlano della volontà di sentirsi «liberi di esprimere pacificamente un pensiero e di farlo con il corpo, contro ogni tentativo di manipolazione imposto dai tunnel solipsistici dei social media».

Dal populismo digitale al populismo ‘corporeo’: questa si può considerare forse la novità del movimento, con cui sarebbe necessario, per le forze di sinistra antagonistica, fare rigorosamente i conti, sul piano teorico e politico.