Il Nibelungenlied? «I Burgundi, la vendetta di Crimilde, le gesta di Sigfrido, tutta la condizione di vita, il destino di un’intera stirpe al tramonto, l’essenza nordica, il re Attila ecc., tutto ciò non ha più alcuna viva connessione con la nostra vita domestica, civile, giuridica, con le nostre istituzioni e i nostri ordinamenti». Questo polemico distanziarsi di Hegel da uno dei grandi testi dell’epica medievale, che oggi può stupirci, diventa più comprensibile se collocato nel suo tempo, all’inizio dell’Ottocento, quando le correnti più reazionarie ne fanno un libro di culto, lo celebrano come il mito di fondazione della nazione tedesca. «Voler oggi fare di tali argomenti – ancora Hegel – un qualcosa di nazionale e addirittura un libro popolare è stata l’idea più triviale e insipida che si potesse avere». È il segno della vecchiaia di un’epoca «che si rallegrava di cose morte cercando di far sì che anche altri vi trovassero il loro sentire e il loro presente». Nel 1826 Julius Schnorr von Carolsfeld è chiamato a eseguire un intero ciclo di affreschi dedicati al Nibelungenlied a Monaco, nella Residenz di Ludovico I di Baviera. Con la creazione del Reich, nel 1871, la materia nibelungica viene piegata – Bismarck è paragonato a Sigfrido – a celebrare la potenza dello stato appena costituito. L’esaltazione conoscerà il suo punto culminante con la propaganda nazista.

Interpretazioni aberranti
Al di là della fosca nebbia di questa strumentalizzazione, oggi leggiamo il Nibelungenlied come il dramma di un mondo cavalleresco rappresentato nelle sue tensioni e nella sua ambiguità, come una grande epica. Una guida preziosa possiamo trovare in Davide Bertagnolli, I Nibelunghi La leggenda, il mito (Meltemi «Testi del Medioevo germanico», pp. 183, € 15,00). Il lettore potrebbe partire proprio dalle ultime pagine del libro, La ricezione, dove sono ripercorsi i momenti centrali dell’interpretazione aberrante di cui si diceva, che però è un capitolo significativo, anche se funesto, della storia politica e culturale europea. Dopo una prima parte dedicata alla tradizione manoscritta del Nibelungenlied – i tre testimoni principali, indicati convenzionalmente con le sigle A, B, C, presentano notevoli diversità, il più recente di essi, C, rielabora il testo per attenuarne la violenza e per dargli un taglio cristiano – e ai diversi criteri di edizione, Bertagnolli delinea un quadro della materia nibelungica e poi analizza, in dense pagine, lo spirito e lo stile del testo principale, il Nibelungenlied appunto.
Rispetto agli altri grandi poemi dell’età sveva – l’Erec e l’Yvain di Hartmann von Aue, il Tristan di Gottfried von Strassburg, il Parzival di Wolfram von Eschenbach – il Nibelungenlied non è basato su un testo francese e sul mondo della cortesia, ma su un materiale leggendario. Lo sterminio dei Burgundi da parte degli Unni in una furiosa battaglia che si risolve in un massacro anche per le schiere unne, nella seconda parte, ha un nucleo storico accertato nel V secolo, nel periodo delle grandi migrazioni. Tra i gruppi germanici che migrano figurano i Burgundi, una popolazione di probabile origine scandinava, che si stanzia nel Medio Reno, con capitale a Worms. Nel 437 il potente re burgundo Gundhaharius – nel poema il re burgundo è Gunther – viene pesantemente sconfitto da un esercito di Unni, capitanato da Attila – nel poema Etzel. Altri indizi vengono offerti dalla realtà storica dell’età merovingia del VI secolo, attraversata da fosche vicende di intrighi dinastici e da vendette famigliari. Nel 560 Sigiberto I, re dei Franchi di Austrasia, sposa Brunichilde, figlia di un re visigoto. Il fratellastro Chilperico, re di Neustria, sposa la sorella di Brunichilde ma, disamoratosi, la fa strangolare da un servo. Per vendicare la morte della sorella, Brunichilde spinge il marito a muovere guerra a Chilperico. Inizialmente vittorioso, Sigiberto viene poi ucciso a tradimento da sicari del rivale. Colpiscono i nomi dei protagonisti di questa truce vicenda: Brunichilde e Sigiberto, che condivide con Sigfrido la prima parte del nome, che deriva dal protogermanico *segu, «vittoria».
Per soddisfare all’orizzonte d’attesa del pubblico contemporaneo – la data di composizione del Nibelungenlied può essere fissata intorno al 1200 – è necessario che l’antica leggenda eroica sia trasposta in un contesto feudale-cavalleresco. Sono presenti così nel poema, e Bertagnolli lo mette bene in rilievo, sia tratti cortesi che tratti eroici. Sigfrido incarna il perfetto principe cortese, ma il suo passato leggendario, caratterizzato dalla conquista del tesoro dei Nibelunghi e dall’uccisione di un drago, non poteva essere ignorato, basti pensare al suo tracotante atteggiamento di sfida quando arriva alla corte burgunda. Brunilde è una bella regina, ma è animata da indomiti spiriti guerrieri – come suggerisce il suo stesso nome, che deriva dal protogermanico *brunjô-hildô, «corazza di battaglia» –, indossa raffinate vesti di seta, ma le copre con una pesante armatura, è ben consapevole dell’etichetta di corte, e molte volte la segue, ma quando si abbandona alla sua natura diventa come una «sposa del demonio». Così Crimilde: perfetta dama di corte, cortesemente innamorata di Sigfrido e poi sua sposa, nella seconda parte del poema, divenuta regina degli Unni alla corte di Attila, il suo unico pensiero è vendicare, con astuta e feroce determinazione, la morte dell’amato Sigfrido.
La più compiuta incarnazione dei tratti eroici è Hagen, il più forte guerriero della corte burgunda, che uccide a tradimento Sigfrido per vendicare l’offesa da lui fatta a Brunilde, la sua regina. Sarà lui a guidare intrepidamente i Burgundi fino alla corte degli Unni, da cui nessuno di loro uscirà vivo. Spicca, nel feroce contesto, la nobile figura di Rudiger, margravio di Bechlarn e potente vassallo di Attila ma, per il fidanzamento della figlia con Giselher, il più giovane dei tre re burgundi, legato anche a questi. Quando Crimilde dà inizio al massacro, vorrebbe restare neutrale ma, qualunque decisione prenda, si macchierà di una colpa. Non gli rimane quindi che invocare la morte.

La lite delle regine
Molto felice è l’analisi che Bertagnolli conduce sui rapporti di status e potere, intorno a cui ruota tutta la storia. La clamorosa lite delle regine, Brunilde e Crimilde, sulla soglia della cattedrale di Worms, è una pubblica lotta per la supremazia. Ciascuna pretende di aver sposato l’uomo più potente del regno: l’astuzia di Sigfrido, che si è finto vassallo di Gunther, si rivela fatale. C’è in tutti i personaggi come una vocazione demoniaca, una mescolanza di orgoglio e di volontà di dominio che si manifesta in una catena di infedeltà e di tradimenti: Sigfrido inganna Brunilde per ottenere da Gunther la mano di sua sorella Crimilde, Hagen inganna Crimilde, perché gli riveli il punto dove il quasi invulnerabile Sigrido può essere colpito a morte, Crimilde inganna i suoi fratelli, e anche Attila e Rüdiger, per uccidere Hagen. Su tutto domina la brama dell’oro, dell’immenso tesoro di Nibelung, tanto che tutti i suoi possessori portano il nome di Nibelunghi: Sigfrido che lo conquista, i Burgundi che se ne impadroniscono, sottraendolo a Crimilde. Una brama funesta, foriera di morte. Il vero titolo del poema potrebbe essere allora, invece di quello più vulgato della redazione C, Nibelunge liet («il poema dei Nibelunghi»), quello dei manoscritti A e B, che nominano la nôt, il pericolo, la rovina, la tragica fine: Nibelunge nôt.