Tutto comincia con un’esplosione sul confine tra Messico e Stati uniti: un uomo prega e si fa saltare in aria in mezzo alla terra di nessuno dove ogni notte si apre la caccia dei poliziotti americani contro i migranti che cercano di entrare, quel traffico di esseri umani divenuto per le mafie più proficuo della droga.

Qualche giorno dopo accade in un supermercato dell’Arizona: morti, feriti, panico. Il governo statunitense decide di intervenire in modo radicale, primo obiettivo i cartelli per fermare il flusso incontrollato che permette l’accesso ai terroristi. Le strategie sono sempre le stesse, operazioni sotto copertura con cui scatenare la guerra, un metodo ben collaudato in America latina quando serviva a far saltare i governi democratici con qualche golpe, o a controllare il territorio per manipolarne ricchezze, politica, stato sociale.

Servono gli uomini giusti, che ignorano le regole o le «barriere» morali (del resto: ci fa attenzione il governo Usa? ).
Qui arriva l’agente Matt Graver (Josh Brolin) che usa i droni per ammazzare la gente – se colpevole o no poco importa – e ottenere informazioni. «Faccio come cazzo mi pare, tanto siamo in Africa» dice al prigioniero, non lo tocca ma gli stermina la famiglia, assai più efficace. È l’uomo giusto per la missione, per creare scompiglio, scatenare la lotta tra mafie che le indebolirà. La squadra, tutta fuori dalle «istituzioni», comincia con Alejandro (Benicio Del Toro), il sicario che non ha ancora avuto la sua vendetta, avvocato troppo onesto che le armi dei cartelli hanno devastato lasciandolo sopravvivere alla famiglia – stesso metodo degli americani – ora un killer senza scrupoli.

Soldado che nel titolo originale rimanda in modo più esplicito al precedente Sicario (Sicario: Day of Soldado) si presenta come un «quasi» sequel del film di Denise Villeneuve anche Stefano Sollima per questo bell’esordio a Hollywood non sembra mettere la serialità – affidata al finale di cattiveria con ironia – della sceneggiatura di Taylor Sheridan al centro della sua regia. Ritrova gli attori, la coppia Brolin-Del Toro, punteggia il ritmo con la musica di Hildur Guðnadóttir che ha sostituito il grande Jóhann Jóhannsson, compositore per Sicario, morto improvvisamente due anni fa – a cui il film è dedicato – per appropriarsi di quel paesaggio lungo un confine polveroso dove si gioca la contemporaneità della violenza.

Avanti e indietro tra America e Messico, avanti e indietro nell’immaginario, il western della New Hollywood e quello spaghetti di suo padre Sergio, gli eroi solitari che spiazzano i codici, e forse sono poco eroi e riflettono il presente. Il Messico della festa dei morti, dei bus che caricano poveri col sogno di un futuro che spesso finisce prima del viaggio, la durezza dei ragazzini che vogliono essere sicari qua e là dal confine, che esibiscono i tatuaggi e maneggiano i soldi pronti a sparare in testa a chiunque per diventare «uomini veri». E i paesi che dann o «lezioni» e usano le tragedie per attaccare – come gli Usa – il nemico di turno.

Frai i traffici e i regolamenti di conti non ci sono buoni e cattivi, non si può stare dalla parte di nessuno, nemmeno della vittima – perfetta nelle sfumature Isabela Moner – figlia del boss che nel dna ha l’arroganza , di chi può permettersi tutto senza pagare mai. Poi succede che qualcosa si rompe, e il western diventa pian piano un on the road emozionale, una specie di deambulazione quasi speculare all’action movie sperimentato da Sollima con gusto deciso della spettacolarità.
Ecco, questo «contrasto», che accorda riferimenti e immaginari, è la sorpresa – e la bellezza – del film che irrompe nel caos di una criminalità sotterranea e onnipotente, di avversari invisibili e elusivi, dove tutti sono corrotti. E nel movimento lineare di combattimenti e imboscate comincia a disegnare uno spazio imprevisto in cui l’umano riprende il suo posto.

Sarà forse il destino dell’’eroe (sempre cinico e baro), tentato da una compasione improvvisa? Il sicario e la ragazzina insieme diventano qualcos’altro, prede in fuga a loro turno, complici che nello sguardo reciproco riscoprono il mondo, lui il sentimento, lei un Paese che neppure immaginava.
Ma in quel deserto brutale (forse nel nostro tempo) il cuore rimane sempre lontano anche nei brevissimi istanti di tenerezza.