Nessuno di noi accetterebbe di buttarsi nel vuoto in cambio di una vaga promessa che, prima o poi, magari un attimo prima dell’impatto, si troverà un modo, non si sa quale, di attutire la caduta e limitare il danno. Il Pd e Leu stanno per farlo.

Stanno per buttarsi, accettando di votare il taglio dei parlamentari sulla base del vago impegno grillino che, poi, arriveranno altre riforme costituzionali, arriverà la riforma dei regolamenti di camera e senato, arriverà all’ultimo momento anche la nuova legge elettorale.

Quale legge elettorale non si sa, perché l’accordo verbale su un proporzionale con sbarramento basso, tradotto in una formula allusiva nel programma di governo (punto 10), è già tornato in discussione. Zingaretti adesso ragiona su sistemi che favoriscano una coalizione anti Salvini. Con tanti saluti alle preoccupazioni per il taglio della rappresentanza che la sforbiciata a deputati e senatori porta con sé. Quando solo una legge pienamente proporzionale – idealmente senza altri sbarramenti se non quelli impliciti nel ristretto numero di seggi in palio – potrebbe limitare (non cancellare) la penalizzazione delle forze più piccole.

Nemmeno l’arroganza di Di Maio – «non voglio ritardi», ha detto ancora ieri – sembra mettere sull’avviso gli alleati. Che oggi approveranno il calendario dei lavori della camera con la data, assai prossima, in cui si voterà definitivamente la riforma costituzionale. Senza alcuna garanzia. E sapendo benissimo che si tratta di una riforma sbagliata.

Lo sanno perché lo hanno spiegato loro. Pd e Leu hanno votato per tre volte contro il taglio dei parlamentari. Sanno che rinunciando in un colpo solo al 37% degli eletti l’Italia diventerà il paese d’Europa con il più alto rapporto tra rappresentati e rappresentanti, il doppio di quello voluto dai costituenti. Sanno che ci saranno regioni con un solo senatore e collegi elettorali da oltre un milione di abitanti. Sanno che i lavori parlamentari saranno più faticosi, che le commissioni si riuniranno con cinque senatori (presidente compreso) e che un senatore dovrà dividersi tra più commissioni. Sanno che i risparmi sbandierati dai 5 Stelle – giurano che il giorno dopo la riforma ci sarà «mezzo miliardo recuperato» – sono fasulli. Perché calcolati su un intervallo di cinque anni e nascondendo il mancato recupero fiscale; il risparmio vero per lo stato non arriverà a 70 milioni l’anno. Ammesso che sia giusto risparmiare tenendo fuori dalle istituzioni le forze minori.

«Non si può far cadere il governo», risponde chi si prepara a votare questa legge, avendone in precedenza denunciato i difetti. Ma si può far partire il riscatto da Salvini nel segno del ricatto demagogico e populista? Approvandolo assieme a Salvini?